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WUSHIDAO & BUSHIDO: principi, fondamenti e applicazioni

Come abbiamo già descritto nell’articolo del 13 gennaio 2011, la Via del guerriero è uno stile di vita che, per vicissitudini storiche diverse, accomuna in particolare due e più territori che appartengono alla grande ed estesa terra dei Dragoni Celesti: l’Estremo Oriente.

Il sostrato di base che si sviluppa in più direzioni e forme, come anche di stili di combattimento, riguarda un aspetto trascurato da almeno una parte dei maestri di arti marziali in Europa, ovvero la disciplina, l’etica e la morale che va sotto una parola che in italiano mal traduce il senso profondo di tale complessità comportamentale, quasi come se essa fosse soltanto il mero apparire di facciata: la famosa etichetta aristocratica moderna e medievale.

Se consultate un moderno dizionario di italiano alla voce etichetta, vedrete che la parola va a denotare direttamente “un cartellino che si attacca su bottiglie, scatole e sim., con una breve indicazione del contenuto”, una pietosa situazione che mal traduce il senso ma che se andiamo a scavare nelle stratificazione delle significazioni sovrapposte lungo la storia cognitiva di questa parola, vediamo che essa rappresenta anche cose come “l’etichetta di identificazione: foglietto di carta, cartoncino o film plastico applicato su prodotti e imballaggi per indicarne dati di rintracciabilità”, oppure una “etichetta discografica, un’impresa commerciale che si occupa della produzione di materiali audio”, una rigenerazione semantica che continua nello spazio e nel tempo arrivando all’informatica, laddove nei linguaggi di programmazione “è un gruppo di caratteri identificatori di un record, una posizione oppure l’istruzione di un programma”.

Tutti questi fattori, che si accomunano per indicare fattori di utilità materiale privata dello spirito intrinseco, oppure anche di connotazione convenzionale di un gruppo di fattori sempre utilitari ma identificatori, ciò che conta non è il mezzo ma il fine, ciò che conta non è il giusto ma è l’interesse.

Ad un certo punto, all’interno della stratificazione semantica abbiamo trovato una significazione assonante, che però neanche lontanamente può rappresentare il reale significato estremorientale della parola etichetta, sia per ragioni tecniche che per ragioni storiche e culturali.

Quest’assonanza semiologica sta nel senso del reale significato dell’etichetta, intesa espressione dell’educazione etica che in occidente si è espressa nell’ambito gnoseologico del galateo, quell’usuale costume utilizzato dall’aristocrazia monarchica occidentale dell’epoca moderna, un significato che secondo Wikipedia la terminologia di galateo definisce

“l’insieme di norme comportamentali con cui si identifica la buona educazione, un codice che stabilisce le aspettative del comportamento sociale, la norma convenzionale. Sinonimi sono etichetta e bon ton. Il nome galateo deriva da Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa Aurunca che ispirò a monsignor Giovanni della Casa quel celebre libro del viver civile, il Galateo ovvero de’ costumi, primo trattato sull’argomento pubblicato nel 1558. In molti paesi il termine impiegato è connesso con l’italiano etichetta, lo spagnolo etiqueta e il francese étiquette. È molto suggestiva, anche se non corretta, l’etimologia popolare della parola etichetta come diminutivo di etica, ramo della filosofia che si occupa di ciò che è buono, giusto o moralmente corretto: viene infatti spontaneo pensare che si tratti di una sorta di “etica minore” applicata non ai grandi problemi della vita morale ma ai semplici problemi della vita di ogni giorno. In generale, si può dire che il galateo è un codice non scritto, anche se può in alcuni casi dar luogo a codificazioni scritte.”

Secondo questa definizione, il galateo non descrive altro che la teorizzazione di determinate norme sociali che regolano il comportamento personale nell’ambito delle quotidiane relazioni sociali, una cognizione che fa di esso un elemento per esprimere una sorta di diminutivo dell’etica, che invece in questa logica teorica rappresenta un ramo di dissertazioni opinionistiche definite dall’altisonante appellativo di pompose discussioni barocche e manieriste, dissertazioni che a quel tempo andavano sotto l’elgida della filosofia moderna, o se preferite di una dilettuosa retorica sofista, quasi come se l’etica, sia essa maggiorata o  diminiuta, fosse null’altro che l’oggetto e il soggetto di intense diatribe elaborate da sofisticati ipotetismi egoici tra chi esprimerebbe il giusto e chi, invece, pretende di essere più giusto dell’altro.

Evitando ogni specifico approfondimento dell’origine occidentale dell’etichetta, di una pura ed evanescente apparenza definita da un forzoso conformismo sociale privo di fondamento, nonché soggetto alle più ampie discussioni tra ricchi signori dai nobili natali, dissertazioni che anzichè esprimere la pratica dell’esempio insito nell’umana essenza, tende invece a celare la oscura cupidigia umana coperta dalle mura domestiche e da tutti i luoghi lontani da occhi indiscreti.

Perchè in Occidente il valore dell’etichetta, soprattutto tra uomini e donne di rango elevato, tra aristocratiche soggettività protesi in cose assurde, magari anche sconce ed addirittura indicibili, ha sempre denotato dei comportamenti convenzionalmente non conformi alla reale normatività sociale della c.d. etichetta, in quanto ha sempre nascosto la reale identità comportamentale di soggetti accovacciati nella penombra, esprimendo comportamenti inusuali e amorali dietro le quinte del palcoscenico della realtà, dietro le tende dell’impersonificazione teatrale dei ruoli sociali che, anzichè modellarsi ai dettami etici della società, non corrispondevano affatto all’elevazione sociale che mostravano in società.

In fondo tra ieri ed oggi non è cambiato molto se non il fatto che tutti i servi delle corone monarchiche, come anche di precisi e particolari interessi, hanno culturalmente massificato i vizi di quella folle aristocrazia negriera, dei comportamenti che oggi si sono diffusi quasi ovunque all’interno di quei ceti sociali che i ricchi liberti nobiliari chiamano ancora plebei, una specifica fascia sociale tutt’oggi esistente in veri e propri ‘orrori domestici’ celati dietro convenzioni sociali, dietro l’interpretazione di ruoli, dietro intese correlazionali, se non proprio di vere e proprie contrattazioni di relazioni depravate tanto bilaterali quanto multilaterali, fra membri di più soggettività sociali apparentemente sconnesse, quanto anche riscontrabile negli stimoli emulativi di una alterata coniugazione di coppia che, per ammazzare il tempo, va alla ricerca di nuove emozioni che possano farli sentire vivi, almeno una volta al dì.

Da qui possiamo certamente notare come la salubrità ipotetica di queste aristocrazie monarchiche occidentali non soltanto sono tuttora vive e vegete, quali discendenze generazionali dirette ed appollaiate sulla modernità di macchine che hanno sostituito cavalli e nocchieri, ma addirittura vanno ad incrementare esempi ed emulazioni che moltiplicano tutti i Vizi del Capitale Post-moderno, viziosità comunicate alle masse attraverso forme di comunicazione pubblica mediata da i più disparati ritrovati tecnologici, in cui questi pupazzi dell’intrattenimento testimoniano la loro immagine come guide da emulare, quasi come se pretendessero di distinguersi come santi mediatici da imitare.

Senza andare a scomodare i rotocalchi rosa di quelle tante copiose riviste, quali prodotti editoriali conformati in aggregati sociali complessi che vanno dal paparazzo fino ai Corona delle agenzie di giornalismo scandalistico, ritroviamo una fenomenologia sociale dove lo scandalo diventa quasi una norma sociale, come se fosse la vera legge, mentre il diritto arranca tra la fallacia e l’inefficacia di strutture che mancano di quel mordente posseduto in passato dallo jus latino, quanto da quella sed lex dura lex che distingueva la magistratura romana di istituzioni come l’imperium.

Nello scandalismo moderno la piccola plebaglia non solo vede, ma apprendere, imita, sogna i loro stessi sogni e non i propri, immagina le avvincenti vicende di questi ‘capri espiatori’ delle proprie frustrazioni, un incolto popolino che  magari riproduce a propria volta, attraverso la pubblicizzazione di vizi e virtù ad uso e consumo di questo baraccone di fenomenali e pietosi umani alla deriva, dei pagliacci che intrattengono le persone in show e spettacoli da stra-pazzo, una situazione in cui la televisione è il cuore centrale da cui si diffonde e si esprime questo immane mondo, nella prospettiva di un oblò dentro ad una nave che lentamente affonda con tutto l’equipaggio, una mono-finestra ‘uguale per tutti’ che, anche se cambi canale, sei sempre sintonizzato sullo stesso edificio, anche se magari apparentemente collocati in qualche appartamento più a sinistra.

Non vi sto parlando di spettacolarizzazione della politica di Guy Debord, ma bensì della spettacolarizzazione dei vizi capitali, in-sane e lussuose abitudini che la nostranità élitista dei nostri post-moderni aristòcrati non fanno altro che reiterare continuamente come la tela tessuta da un ragno che incessantemente dispone filamenti su cui ingabbiare prede a buon mercato, una fenomenologia complessa che non esclude nessuna componente subculturale della società contemporanea, una dimensione che poco a poco potrebbe anche arrivare alla legittimazione dell’illegittimabile, un processo di opinionizzazione etica che nel suo relativismo manca di oggettività, in quanto l’apparenza dell’etichetta potrebbe anche nascondere l’impossibile.

E’ interessante notare come le post-moderne abitudini di nascondersi tra l’essere e l’apparire abbia radici molto precedenti e soprattutto insite in certe fasce di cordate sociali, filoni relazionali che nel caso delle aristocrazie monarchiche, ancora oggi perdurano nell’apparenza mediatica delle attuali discendenze nobiliari.

Un’altro interessante elemento di continuità storica mostrato sotto le scandalose forme di illecite condotte sessuali, se non addirittura forme anche peggiori delle precedenti, riguarda la particolarità di determinati esponenti del clero nel periodo medioevale, laddove un certo Salinbene de Adam, un frate minore che assolse il compito di essere uno storico italiano del XIII° secolo con la sua ‘Cronica’, riportando di aver sentito almeno “cento volte” i sacerdoti italiani citare il proverbio latino «si non caste, tamen caute» (se non castamente, almeno con cautela), una situazione ambigua tanto quanto quella citata da Baldassarre Castiglione (XV-XVI secolo) che, nel suo ‘Libro del Cortigiano’, affronta l’immoralità di certi chierici:

«e poi allegano una certa autorità di suo capo che dice “Si non caste, tamen caute”; e par loro con questa medicare ogni gran male e con bona ragione persuadere a chi non è ben cauto che tutti i peccati, per gravi che siano, facilmente perdona Idio, purché stiano secreti e non ne nasca il mal esempio».

Come si sa “le bugie hanno le gambe corte tanto quanto la gramigna ha radici profonde”, ma ciò che a noi interessa in questo momento non è comprendere la genealogia complessa di questo ambiguo fatto sociale insito nel conformismo del mostrarsi radicato nell’ipocrisia di spiriti ammalati, ma piuttosto soltanto di mettere in chiaro, di rendere intellegibile, la radicale differenza insita fra l’occidentale versione della fenomenologia sociale dell’etichetta sociale, piuttosto che le caratteristiche tipiche della tradizione estremorientale in genere.

Tralasciando le correlazioni multilaterali strutturate da bilateralità multiple, che disegnano una ragnatela di significati analoghi che lascian discontinue tracce lungo un ipotetico percorso spazio-temporale, abbiamo forse capito sia che l’etica non è affatto un opinione, ma è espressione viva di tradizioni antiche che in Italia risalgono ad un complesso periodo che riporta la nostra mente alla genealogia del cristianesimo che si diffonde ad opera di uomini che attraversano classi e caste sociali, una dimensione spazio-temporale dove l’etica subisce contraccolpi durante la convivenza con scioccanti contraddizioni sociali, inerenti tanto alla fase decadente dell’impero romano quanto alla corrispettiva fenomenologia emergente della monarchia vaticana, un’altissimo medioevo che ci addentra in un periodo cupo e controverso, e forse probabilmente anche peggio di questa nostra post-modernità tribale.

Differentemente dall’etica e dall’etichetta occidentale, i fondamenti della Via del Guerriero non sono discussioni teoriche di sofismi che gravitano intorno alla ricerca delle migliori dissertazioni intorno all’etica, all’etichetta o foss’anche al galateo, ma sono applicazioni pratiche di continue esercitazioni di convergenze fra corpo anima e cervello, dove non c’è spazio per le diatribe perchè sono norme sociali intellegibili dove il mancato rispetto dell’armonia sociale è fonte di complesse dinamiche di controllo sociale.

Anche se ciò che viene riportato successivamente sono norme riportate in testi fondamentali delle arti marziali, esso si rivela essere piuttosto un codice non scritto praticato costantemente dentro e fuori dal dojo, dentro e fuori dal luogo in cui avviene quel profondo rapporto tra maestro e allievo, la pratica costante di un comportamento marziale che rispetta onorevolmente il prossimo tanto quanto altrettanto viene rispettato, una situazione dove l’abuso della magnanima gentilezza altrui non permette la prosecuzione dell’affronto, in quanto le stesse relazioni mutano il legittimo contesto della tutela sociale del popolo, tanto quanto della dignità e l’onore dello stesso guerriero.

Fortunatamente anche in Europa abbiamo esempi di antiche tradizioni marziali, di pratiche arti di combattimento come anche di tutti i valori ad essi sottesi, attualmente rinchiusi e compartimentati nell’onorevole quotidiano lavoro dell’onestà marziale e intellettuale delle forze armate.

L’origine delle arti marziali si perde lungo il tempo e lo spazio ma ognuna riporta qualche collegamento storico con la terra madre Asia, tanto quanto la grande madre Cina, quale area di antiche e virtuose relazioni territoriali di matrice confuciana, dove il rapporto tra maestro e discepolo è uno dei cardini pratici di tutto l’Estremo Oriente.

Quindi come già riferito nel già citato vecchio articolo, il Wushidao e il Bushidō rappresentano una stessa sostanza secondo forme diverse, letteralmente una disciplina marziale, un’etica militare (Wu e Bu), dove il concetto di essere (Shì e Shi), si fonde significando l’opera quotidiana e la missione sociale del guerriero combattente (Wushì e Bushi), un senso di giustizia che tutela gli indifesi quanto gli innocenti, che nella complessa significazione della Via intesa come condotta di vita che porta lungo un sentiero (Dao e Dō), vanno a tradursi nella lingua italiana con la locuzione de ‘la Via del Guerriero’.

Rispetto, salute e dignità.

Buona lettura!

Vincenzo Di Maio

 

CINA – Zhong Guo


FONDAMENTI DELLE CINQUE VIRTU’ CONFUCIANE

(Wuchang, 五常)

1.  Ren (仁, benevolenza, umanità, bontà),  l’essere umano, la persona, ognuno, tutti, talento, genio, seme di un frutto, manifestazioni intrinseche dell’uomo elevato racchiuse in un solo carattere.
2. Yi
(义, giustizia, rettitudine, equità), il giusto, l’equo, il vincolo dell’amicizia, l’adozione della saggezza, il risultato del lavoro dell’uomo elevato.
3. Li
(礼, ordine, regole di condotta, ideale), il rito, la pubblica cerimonia, la cortesia, la gentilezza, il garbo, il dono, la missione operativa dell’uomo elevato.
4. Zhi
(智, saggezza, intelligenza, ingegno), l’essere saggio, intelligente, ingegnoso, il rendere chiaro, il portare consapevolezza, l’applicazione pratica dell’uomo elevato.
5. Xin
(信, verità, tener fede alla parola data, sincerità, coerenza), il vero, il certo, il reale, la fiducia, la credibilità, il credere negli altri, il professare una fede, un credo, una lettera, una corrispondenza, un’informazione, un messaggio, una notizia, la miccia, lo stoppino della candela, la luce dell’inizio, il prodotto derivato dal coerente lavoro quotidiano dell’uomo elevato, come dello stesso wushi, del guerriero.

I NOVE PRINCIPI FONDAMENTALI DEL WUDE

1* Rispetto della dignità umana: il praticante di arti marziali cinesi deve rispettare la vita umana, perché il Wushu trae origine proprio dall’esigenza di proteggere la vita umana.
2* Centralità dell’etica e dei principi morali:
i principi morali forniscono le basi per il mantenimento di relazioni stabili tra gli uomini, e quindi tra l’uomo ed il contesto sociale. Chi vuole apprendere il Wushu deve rispettare questi principi.
3* Fondamento della condotta morale: mentre si apprendono le abilità marziali, si devono anche coltivare le qualità morali; il senso di giustizia, la diligenza, la persistenza, l’onestà e l’impegno a lavorare duramente.
4* Rispetto per l’insegnante e cura reciproca:
bisogna impegnarsi duramente in tutto ciò che il Maestro insegna, così sia il maestro che l’allievo devono prendersi cura reciprocamente nell’ottemperanza dei propri ruoli e fare tesoro della relazione che si instaura tra di loro.
5* Modestia e ardore:
colui che studia le arti marziali dovrà cercare di migliorare la propria abilità e rifiutare di diventare arrogante e fare mostra della propria bravura per sminuire gli altri. Si deve imparare gli uni dagli altri per migliorare ed essere uniti e collaborare insieme.
6* Liberarsi dall’invidia e dai rancori:
nell’apprendimento del wushu, si punta all’auto-difesa e a migliorare le proprie condizioni fisiche. Non si dovrebbe mai contendere con qualcuno seguendo i propri rancori o per intimidire il più debole. Non si devono utilizzare le capacità marziali per essere prepotenti o per reagire alle provocazioni.
7* Persistere e perseverare: la pratica delle arti marziali è un duro compito che richiede tempo e sforzi notevoli. Costanza e persistenza sono necessarie. Bisogna studiare e provare a comprendere pienamente i significati intrinsechi e essenziali di ogni sequenza. La vera essenza e del Wushu può essere appresa solo attraverso la resistenza e l’agire i movimenti corporei.
8* Giustizia e rettitudine:
nella pratica marziale del wushu la giustizia è la via maestra della vita di un discepolo e l’espressione della rettitudine personale è il cardine su cui si fonda il principio di giustizia, come anche di essere sempre un punto di riferimento per il popolo sia offrendo sicurezza e tranquillità come anche diretta salvaguardia degli indifesi.
9* Umanità, saggezza e verità: l’impegno nella vita dell’eterno apprendimento del wushi sta nel conseguimento dell’elavazione spirituale, attraverso il perseguimento della saggezza per il raggiungimento e il rispetto della verità. Lo spirito del Wushu è espressione di elevazione morale e pertanto emerge come servitore della umanità.

LE SETTE VIRTU’ MARZIALI DEL WUSHI

(Wu you qi de – 武有七德)

1) Jin bao (禁暴, trattenersi dalla violenza), il resistere e il sopportare, il contenersi, il trattenersi dall’essere improvviso e violento, crudele, selvaggio e feroce, come irascibile, irritabile e iracondo per non sporgere, per non deprecare, per non rovinare, l’azione etica di evitare la violenza come anche di non subirla.
2) Ji bing (戢兵, cessare le ostilità), il finire, il portare a termine, il terminare l’uso dell’arma, dell’esercito, dell’armata, delle forze militari, del combattimento, l’azione etica di portare a conclusione le ostilità come anche di non fomentarle.
3) Bao da (保大, proteggere la grandezza), il difendere, il salvaguardare, il conservare, il mantenere, il garantire, l’assicurare, il farsi garante, avallante, l’utilizzare il dovuto per proteggere il grande, lagrandezza, la misura, la dimensione, ciò che completa, il maggiore (di età), il Vostro pieno, l’azione etica di preservare e difendere le cose prioritarie.
4) Ding gong
(定功, successo stabile o tranquillo),  la tranquillità, la calma, la stabilità, il fissare, lo stabilire, il determinare, il portare ordine senza alcun dubbio, ma con certezza del merito, dell’onore, del servizio, del compimento, del buon risultato, dell’abilità di raggiungere un obiettivo, l’azione etica di acquietarsi placidamente portando ordine senza esitazione fino al successo del risultato ottenuto.
5) An min (安民, tranquillizzare o salvare il popolo), portare quiete, tranquillità, calma, serenità, accontentandosi di essere al sicuro, accontentando il popolo al folclore civile, alla civiltà, l’azione etica di togliere cattivi pensieri portado la calma e la sicurezza della quiete.
6) He zhong
(和众, numerose amicizie), conciliarsi, riconciliarsi, diventare amabile, affabile, gentile, in armonia, buoni rapporti, relazioni paritarie, essere amico, l’azione etica di valorizzare profondamente il senso amicizia, e dei rapporti con gli amici, come anche delle relazioni paritarie e concilianti in genere.
7) Feng cai
(丰财, ricchezza abbondante), essere ricco, abbondante, copioso, ma anche generoso, arricchendo ed aiutando ad arricchirsi tutte le persone che ti circondano, attraverso lavori, opere, attività, insegnamento, elargizione di beni, di ricchezze, di denaro, l’azione etica di arricchirsi come di arricchire l’intera integrita della propria comunità di appartenenza, del proprio villaggio, della propria città.

GIAPPONE – Nihon

I SETTE PRINCIPI DEL BUSHIDO GIAPPONESE

* 義, Gi: Onestà e Giustizia – Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
* 勇, Yu: Eroico Coraggio – Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.
* 仁, Jin: Compassione
– L’intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili e se l’opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.
* 礼, Rei: Gentile Cortesia – I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.
* 誠, Makoto oppure 信, Shin: Completa Sincerità – Quando un Samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di “dare la parola” né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.
* 名誉, Meiyo: Onore
– Vi è un solo giudice dell’onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.
* 忠義, Chugi: Dovere e Lealtà – Per il Samurai compiere un’azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il Samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.

I CINQUE ANELLI DEL BUDO

Estratti de ‘La Via del Pennello e della Spada’ tratta da Il libro dei cinque anelli di Miyamoto Musashi

TERRA: Per un guerriero che segue la Via di Heiho deve tener conto dell’onore e del dovere quali cardini dell’anello Terra, per lui è necessario fissare la mente nell’essenza di Heiho, costruendo così uno spirito indomabile e una volontà di ferro, fino a giungere al punto di dimostrare tali doti in ogni sua azione, perchè il vero sentiero di Heiho è tale da potersi applicare in ogni momento e in ogni situazione.
ACQUA: Quale fonte di ispirazione per chi cerca la vittoria attraverso la Via di Heiho, l’acqua rappresenta l’essenza del fluire e della completa adattabilità del guerriero, una capacità che si acquisisce attraverso la profonda meditazione sui concetti della Via di Heiho, al fine di non fraintenderne i principi fondamentali e quindi di confondersi andando completamente fuori strada, in quanto solo con l’incessante esercitazione di una pratica senza tregua si potranno scoprire molte cose inerenti alla Via.
FUOCO: L’essenza del combattimento è da paragonare al fuoco, perché affrontare un nemico in un combattimento reale, in occasioni in cui c’è in gioco la vita, si affronta un momento in cui o si vive o si muore, e gli insegnamenti della Via di Heiho sono validi per mirare alla vittoria, pur combattendo con un numero imprecisato di avversari secondo il suo principio che “se uno vince contro dieci, mille possono vincere contro diecimila”, un lavoro realizzato anche allenandosi da soli tutti i giorni con la spada, eseguendo gli aspetti mentali degli insegnamenti si può comprendere la strategia per vincere anche diecimila avversari.
ARIA:
L’Aria esprime la volontà di conoscenza attraverso il confronto delle altre tradizioni di Heiho, dove alcuni predicano tecniche di forza, altre vantano la praticità della spada kodachi e altre ancora che promuovono un gran numero di tecniche di tachi, come anche che in molte scuole sconosciute si racconta che vi siano tradizioni segrete, mentre nella Via di Heiho non c’è nulla di nascosto, perchè in Heiho non si fanno mai distinzioni tra cose palesi e cose segrete, perchè la semplicità dell’insegnamento della vera Via va giudicato dall’intelligenza dell’allievo, aiutandolo a riconoscere i difetti, e facendolo gradualmente penetrare nello spirito di Heiho, togliendogli ogni dubbio dal suo cuore.
VUOTO:
Il Vuoto espone la Via di Heiho nel Niten Ichi-ryu, nell’uso di una scuola con due spade, quel Vuoto espresso da Ku che essendo tale indica il nulla, ciò che non si può conoscere, anche se molte volte il nostro “non conoscere” deriva dall’ignoranza e dalla pigrizia, mentre per un bushi conoscere a fondo la Via di Heiho significa studiare anche le altre discipline, il comprendere chiaramente il proprio dovere senza avere brama di ambizioni, affinare la saggezza e la forza di volontà, sviluppando l’intuizione e l’attenzione, che sono le attività che portano alla comprensione del vero Ku, perchè la vera Via e vede la realtà del mondo dalla giusta prospettiva, accorgendosi e ammettendo la lontananza delle proprie vedute rispetto alla realtà della Verità, a causa dei pregiudizi che si possedevano, giungendo così alla corretta considerazione che prende a riferimento la sincerità di spirito e l’onestà interiore praticando Heiho quotidianamente, sforzandosi di percepire correttamente e chiaramente la realtà, facendo del Vuoto l’essenza della vera Via, e della propria Vita l’essenza di Ku, l’essenza del Vuoto.

HEIHO: LA VIA CHE BISOGNA PERCORRERE DA SOLI

1. Non contravvenire all’immutabile Via: mai ostacolare i flussi della vita, ma lasciarli scorrere come acqua di un fiume.
2. Evita i piaceri del corpo:
la disciplina dello spirito nasce della massima disciplina del corpo, perchè il saggio controllo della propria vita passa dall’evitare i facili costumi dei piaceri del corpo.
3. Sii assolutamente imparziale:
la Via di un guerriero è la ricerca della massima imparzialità rispetto alle cose e alle persone anche andando contro i propri interessi, in quanto massima espressione di giustizia. 4. Non avere desideri: la pratica di un corpo integro nasce dalla purificazione della mente attraverso il distacco dai propri desideri, nella concentrazione sui propri obiettivi e nel pratica del servizio.
5. Non avere interessi:
la Via del Bushi non esprime interessi particolari ma segue il senso delle leggi e della giustizia, perchè l’interesse esprime cupidigia ed egoismo che la Via del guerriero combatte ogni giorno.
6. Non invidiare gli altri:
mai riferirsi agli altri con l’attaccamento ai propri desideri, ma guardare gli altri per imparare dai risultati ottenuti dagli altri, per avere occasione di migliorare ogni giorno sé stessi.
7. Non rattristarti nelle separazioni: quando la vita ti porta dinanzi a delle scelte anche difficili, costringendoti a separarti per qualche ragione dai tuoi riferimenti sociali non rattristartene.
8. Resta esente da rancori e animosità:
se ricevi un’oltraggio risolvilo ma qualuque sia stata la tua scelta e il tuo risultato allontanati da ogni rancore e da ogni animosità.
9. Non avere desiderio d’amore: se vedi una bella ragazza lungo il tuo peregrinare non averne desiderio alcuno, non intaccare il tuo equilibrio e la tua purezza mentale.
10. Non avere preferenze:
quando svolgi un attività segui i principi della rettitudine e non avere preferenze tra le persone, ma tratta tutti rispettosamente allo stesso modo.
11. Non ricercare la comodità personale:
evita ogni forma di comodità per non favorire la pigrizia e la disattenzione, sii sempre sveglio e attento.
12. Non concederti lussi:
il lusso è l’origine del vizio, come il vizio è l’origine della decadenza e della fine, per questo sii parsimonioso e non sprecare inutilmente la tua vita.
13. Non possedere oggetti preziosi:
non dedicare la tua vita in cose esteriori, sii essenziale e concentra le tue energie per il bene della tua vita e dei tuoi cari.
14. Non ritenere false credenze o superstizioni:
non credere a strane idee, non dare valore alle superstizioni, credi nella pratica e nella veglia dell’intuito del tuo spirito.
15. Non spendere denaro se non per la spada:
non sperperare denaro senza ragione, non consumarlo senza un fine, la spada, la disciplina e l’esempio è il tuo fine.
16. Dedicati solo alla Via, incurante della morte: pratica l’esercizio costante sul sentiero della Via, non aver cura della morte, vivi come se dovessi morire domani, esercitati come se fossi nato ieri.
17. Anche nella vecchiaia, disinteressati al possesso:
il possesso è un mezzo e pertanto così va visto, non è un fine importante e pertanto anche nella vecchiaia non ha alcun valore.
18. Rispetta gli dei, ma non pregarli:
rispetta gli dei e ricordati di loro, come del loro esempio, pratica l’esercizio della fedele lealtà verso le divinità nella pratica costante di tutti i giorni, medita e vai al tempio ma affidati soltanto ai tuoi mezzi.
19. Non lasciare mai la Via di Heiho:
nono abbandonare neanche per un momento il cammino del sentiero che proviene da Heiho, esso ti condurrà alla luce e anche se per un solo momento, lasciarlo può significare anche la tua stessa fine.

LO STATUTO DEL BUDO

(武道憲章, budō kenshō)

1. Obiettivo. Il budō si pone come obiettivo di coltivare il carattere, migliorare la capacità di giudizio e formare individui di valore, attraverso l’addestramento di mente e corpo con le tecniche marziali.
2. Pratica.
Durante la pratica bisogna sempre rispettare l’etichetta (礼法, reihō?), osservare i principî fondamentali ed allenare mente, tecnica, e corpo come un tutt’uno, senza perseguire mere abilità tecniche.
3. Competizione.
In occasione di competizioni o esibizioni di kata, si metterà in mostra con il massimo impegno lo spirito del budō appreso nel lungo addestramento e, al contempo, si manterrà sempre un atteggiamento misurato, senza arroganza in caso di vittoria né rimpianto in caso di sconfitta.
4. Dōjō.
Il dōjō (礼法, dōjō) è il luogo in cui si addestrano la mente e il corpo. Vi si rispettano la disciplina e l’etichetta, si osservano i principî di silenzio, pulizia e sicurezza, ci si impegna a mantenere la solennità dell’ambiente.
5. Insegnamento. L’istruttore dovrà sempre sforzarsi di forgiare i caratteri, impegnarsi ad addestrare mente e corpo, continuare ad approfondire le conoscenze tecniche, non consentire che l’attenzione si focalizzi su vittorie e sconfitte o sulla tecnica, e soprattutto mantenere un comportamento adeguato al ruolo di modello, che egli ricopre.
6. Diffusione. Quando si promuove il budō bisogna valorizzarne i principî tradizionali, esserne diretta espressione ed emanazione, contribuire alla ricerca ed al consolidamento della didattica, e contemporaneamente impegnarsi per il suo sviluppo.
7. Corretta Vittoria. Conquistare la ‘padronanza di sé stessi’ attraverso la vittoria su di sé stessi, attraversando i sentieri della conoscenza la propria natura interiore, in quanto per cambiare realmente il mondo che ti circonda occorre prima di tutto cambiare sé stessi e ciò significa che se si vuole veramente acquisire la capacità di padroneggiare ogni attacco proveniente da un potenziale avversario nel qui ed ora, occorre aver preventivamente acquisito la capacità di padroneggiare pienamente se stessi.

7 aprile 2011 Posted by | Aforismi, Arte, Ascoltare, Azioni, Cultura, pensieri, Vuoto | , , , , , , | 1 commento

Perfectione ne lo Altissimo

Errare è ne lo umano,
come lo perseverar l’errore è nel diabolico
et il curar lo immondo lo è nel santo
così come lo prevenir lo esso lo è nel divino.
Ma su tutte esse cotal guisa faccia,
la sua incommensurabil differentia,
ne è la perfectione de la vitae ne lo Altissimo,
ne è la gioia grande de lo Amor divino,
de il sommo, lo unico et lo infinito Dio.
(Vincenzo Di Maio – Marzo 2011)

Amore Divino

Un Amor Divino

 

Curare Prevenire e Amare

Curare Prevenire e Amare

19 marzo 2011 Posted by | Aforismi, Arte, Ascoltare, Azioni, Cultura, pensieri, Progetti, Silenzio, Vuoto | , , , , , , , , | 2 commenti

MTC: Le forme dell’energia e l’anticamera dello spirito

Secondo la conoscenza della sapienza sinica di matrice confuciana, ogni cosa nel mondo è espressione di una qualche tipologia energetica che ne determina la struttura e la configurazione del grado di salubrità e/o di tossicità in base a come essa attraversa le varie fasi della mutazione dinamica oltre il tempo e lo spazio.

Il nostro corpo è anch’esso composto da diverse forme energetiche che nel loro bilanciamento armonico possono produrre salute, forza, potenza e longevità.

Taiji Quan

Taiji Quan

Disparate ed integrate sono le innumerevoli discipline estremorientali che si basano su questi principi epistemologici radicali, come ad esempio quelle cinesi  del Taiji Quan e del Qi Gong, od anche quelle giapponesi come il Do-In e il Reiki, tali che permettono non solo di migliorare la salute energetica interiore ma addirittura che possono potenziare tutte nostre normali facoltà umane, mediante la pratica costante dell’esercizio e dell’applicazione.

Siccome la realtà pratica della vita è una continua mutazione dinamica della realtà, impercettibile all’occhio umano, lo sforzo cognitivo di poter comprendere tale conoscenza si ferma davanti ad ostacoli ontologici che non possono determinare alcuna esaustiva descrizione teorica in quanto, come afferma Lao zi, il Dao di cui si può parlare non è il vero Dao.

Lao Zi - Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela.

Lao Zi - Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela.

E’ un paradosso irrisolvibile in quanto non soltanto rivela i limiti della conoscenza umana negli anfratti stretti della logica raziocinante, similmente a tutto ciò che voi state leggendo in questo momento, ma anche che determina la necessità di una conoscenza pratica della realtà dove il sentire diventa più importante del pensare.

La strutturazione semantica del verbo italiano sentire viene dal latino e significa letteralmente ‘percepire con i sensi’, laddove dal punto di vista umano essi sono soltanto 5: l’olfatto, il tatto, il gusto, la vista e l’udito, ma dal punto di vista divino essi sono molti di più.

La parola sentimento, dalla prospettiva di una significazione neutra, descrive l’esercizio della sensibilità e la percezione delle sensazioni, laddove un ‘accurato lavoro personale’ permetterebbe non soltanto di comprendere l’esistenza del famoso ‘sesto senso‘ ma anche, gradualmente di tutti i sensi potenziali che l’essere umano normalmente non ne conosce neanche l’esistenza in quanto attinenti a cose non-visibili.

Reiki - Sentimento

ReiKi - Sentimento

Viviamo in una società materialista in cui non soltanto domina la vista, il gusto e la materialità del tatto, ma che addirittura tendiamo a dimenticare la semplice complessità dei cinque sensi, ed in particolare di sensi importanti come l’olfatto e l’udito.

La mancanza di esercizio di un normale uso quotidiano non soltanto non ci permette di evolvere ma ci porta verso l’involuzione umana, portandoci verso l’esistenza di una vita povera di ‘sentimento, laddove appunto la più grande forza dei sentimenti sta nell’udito e nell’olfatto, ovvero nella pratica di ascoltare profondamente il prossimo e nell’odorare la naturalezza del creato.

Già se soltanto arrivassimo a conoscere almeno in parte la complessità energetica di ‘soltanto‘ il nostro corpo potremmo forse intuire la pochezza del nostro esistere, del nostro modo di stare saldi nella realtà, del nostro modo di sentire i piedi ben radicati a terra, proprio come i fratelli alberi che si radicano nel terreno per ascendere verso il sole e verso il cielo più alto.

Ringraziare un albero per l’aria salubre che ci dona è il minimo che possiamo fare individualmente per la prosecuzione dell’armonia sulla terra verso le altre specie viventi che si sacrificano ogni giorno per il nostro bene e per il proseguimento dei propri divini doveri, mostrando un coraggio che esprime il mantenimento dell’equilibrio di un ecosistema come anche degli innumerevoli influssi benefici delle energie dei nostri fratelli di specie, in quanto figli della stessa madre.

L'albero che ascende al Cielo

L'albero che ascende al Cielo

Onorevole è stata l’opera di un sant’uomo come Francesco d’Assisi che, con la testimonianza del Vangelo, ci riporta il suo Cantico delle creature in cui ci ha trasmesso una parte della sua vita:

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo è ne dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi Siignore, per sora Luna e le stelle:
il celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi Signore, per sor’Acqua.
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.

Laudato si’, mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infermitate et tribulatione.

Beati quelli ke ‘l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.

San Francesco d'Assisi

San Francesco d'Assisi

Similmente alle sante pratiche dell’eremitaggio dei Santi Taoisti, la Santità di Francesco si è esercitata durante lunghi attraversamenti solitari di montagne e di vallate nella bellezza di colei che è espressione dell’accogliente amore della grande madre, momenti di contemplazione che possono ricordare anche quel periodo della vita del grande profeta Maometto dove si esortava in profonde meditazioni nella grotta sul monte Hira vicino a La Mecca, l’esperienza di alte espressioni del più profondo sentimento dove l’elevazione spirituale dell’uomo raggiunge le porte dell’ascensione al Cielo.

Il Corano è la testimonianza delle parole rivelate da Dio nell’Islam attraverso l’Arcangelo Gabriele al Profeta Muhammad, memorizzate dal Profeta e dettate ai suoi discepoli.

Nel versetto 35 della Sura An-Nûr, la Sura della Luce, in nome di Allah il Sommo Profeta afferma che:

Allah è la luce dei cieli e della terra. La Sua luce è come quella di una nicchia in cui si trova una lampada, la lampada è in un cristallo, il cristallo è come un astro brillante; il suo combustibile viene da un albero benedetto, un olivo né orientale, né occidentale, il cui olio sembra illuminare, senza neppure essere toccato dal fuoco. Luce su luce. Allah guida verso la Sua luce chi vuole Lui e propone agli uomini metafore. Allah è onnisciente.

Muhammad - Maometto

Muhammad - Maometto

In questo frangente possiamo notare particolarmente come Maometto parla con suoi poetici ed onirici riferimenti di linguaggi arcaici dettati dalla profondità dalle metafore della sua stessa diretta esperienza di preghiera dove il sentimento più alto l’ha fatto ascendere verso Dio, che gli si manifestò inviando l’Arcangelo Gabriele come suo messaggero per portargli la Rivelazione di Dio.

Più attraversiamo i misteri della santità e più ci discostiamo dalla comprensione logica della realtà, è un paradosso tipico del Taoismo che come afferma il sommo Laozi nel suo Dao De Jing:

Il Tao di cui si può parlare non è l’eterno Tao,
il Nome che si può pronunciare non è l’eterno nome.
Senza Nome è l’origine del Cielo e della Terra.
Con un Nome è la Madre delle innumerevoli creature.
Eternamente privo di desideri puoi coglierne il mistero.
Eternamente desiderando puoi coglierne le manifestazioni.
Questi due nomi indicano la stessa cosa: è l’oscuro,
oscurità nell’oscurità,
la porta di tutti i misteri.

Qui Laozi è chiaro ed intellegibile per coloro che oltrepassano il limite delle forme, perché la vera porta del mistero è una porta oscura, ed essa è la porta del buio nell’essere assorto in meditazione, in cui potrai cogliere in parte e/o in totalità il più profondo mistero, dettato dalla capacità personale di ascendere al Cielo.

Porta del mistero

La Porta del Mistero

In questo mistero senza fine, le energie del corpo sono soltanto la infinitesima parte dell’immensità, quale chiave che permette di vedere la lampada di Maometto che aiuta ad arrivare alla porta dell’oscurità nell’oscurità.

La Medicina Tradizionale Cinese lavora per ristabilire l’equilibrio di un corpo capace di riprendere quelle facoltà naturali che generano la grande complessità dell’armonia energetica di una persona, quella stessa armonia che può aiutare a trovare la chiave del sommo mistero.

Allo stesso modo è importante citare anche le forme indiane di meditazione come descritte in un gran numero di opere come lo Yoga Sutra, un antico testo Indù risalente al II secolo d.C. ed attribuito a Patanjali che va ad aggiungersi ai più antichi testi conosciuti quali i Veda indiani che conformano gli originari testi dell’Induismo.

Altrettante forme diverse di meditazione sono le pratiche buddhiste in cui si distinguono le pratiche meditative insegnate da Bodhidharma, il 28° patriarca del Buddhismo, che sono conosciute con il più famoso nome cinese di Chan, che in Giappone prende il nome di Zen, una complessa religione che, in quello che oggi viene distinto nella sua più antica forma di canonizzazione qual’è il Canone Pali e il Canone Cinese, indipendentemente dalle scuole riconosce ben dieci poteri ad un Buddha e che consistono in:

1. sthānāsthāna-jñāna-bala: potere di distinguere i fatti reali dalle illusioni;
2. karma-vipāka-jñāna-bala: potere di conoscere gli effetti del karma;
3. nānādhimukti-jñāna-bala: potere di conoscere i rispettivi desideri e aspirazioni degli esseri senzienti;
4. nānā-dhātu-jñāna-bala: potere di conoscere i differenti temperamenti degli esseri senzienti;
5. indriya-parāpara-jñāna-bala: potere di conoscere le capacità intellettive dei differenti esseri senzienti;
6. sarvatra-gāminī-pratipaj-jñāna-bala: potere di conoscere le vie e gli obiettivi delle pratiche;
7. dhyāna-vimokṣa-samādhi-samāpatti-jñāna-bala: potere di conoscere tutte le pratiche di liberazione, di meditazione e di assorbimento;
8. pūrve-nivāsānusmṛti-jñāna-bala: potere di conoscere le esistenze precedenti;
9. cyuty-upapatti-jñāna-bala: potere di conoscere la morte e le rinascite degli esseri senzienti;
10. āsrava-kṣaya-jñāna-bala: potere di conoscere come si realizza l’estinzione delle contaminazioni e degli attaccamenti.

Luce delle religioni tradizionali

Luce delle religioni tradizionali

Com’è il valore dimenticato della ‘pratica del silenzio‘ per il cristianesimo, la pratica della preghiera come della meditazione si esprime nelle diversi contesti religiosi secondo le più diverse forme congeniali ad ogni religione tradizionale dell’Eurasia, rivolgendosi verso l’identificarsi come una pratica delle religioni tradizionali di Cristianesimo, Islam, Induismo, Buddhismo e Taoismo ma espressa secondo ben precisi e distinti canoni conformati nel tempo e nello spazio dai rispettivi fondatori che ne hanno segnato un percorso ben preciso che tratta la dimensione spirituale dell’umano elevato nello spirito verso il divino.

Così le religioni tradizionali dell’Eurasia si rivelano essere percorsi precisi di elevazione spirituale contraddistinti dalla ferma scelta di appartenenza religiosa che riconosce il patrimonio della parola del suo Fondatore Capostipite come unica ed inviolabile fonte originaria di Verità Rivelata, che rispettivamente vanno ad identificarsi come la ricchezza di un grande patrimonio di una ‘etnodiversità culturale‘ vitale alle relazioni umane di ieri come di domani, religioni comunemente distinte e legittimate da un preciso solco di tradizione segnato dal possedere uno stesso chiaro riferimento verso la Pace e la Giustizia per ognuno, professando la ‘salvezza degli umani‘ dalle tante forme che assume il male, portandoci sotto la protezione di una propria Legge Divina, intimamente insita nello stesso valore dell’unità nella diversità.

La vera conoscenza nasce dal confronto di almeno due identità che seppur distinte permettono a noi stessi di conoscere meglio la nostra essenza, un momento di riflessione e consapevolezza dove anche la più distante diversità a noi contigua permette di conoscere meglio noi stessi, perchè é nel confronto che emerge la nostra peculiarità rispetto ai simili, la cui nostra fermezza diventa baluardo di difesa da ogni avversità di ciò che non rispecchia un essenza inafferrabile, inpronunciabile e indescrivibile.

Indicibile Verità

Indicibile Verità

Con questo difficile attraversamento delle diverse acque di queste cinque differenti religioni che conducono al mare della Pace di Eurasia, non mi resta che augurarvi una buona e serena lettura riportando l’attenzione verso il tema originario della Medicina Tradizionale Cinese che supera le forme della materia e si dirige verso le forme delle energie, quale anticamera della grandezza di qualcosa di più grande racchiuso nello spirito, un testo che possa favorire in noi tutti il ritorno alla fonte da cui attingere l’Indicibile Verità dell’insondabile mistero dello spirito che la finitezza di nessun linguaggio e di nessuna ragione potrà mai violare.

A presto!

Vincenzo Di Maio


MTC: LE ENERGIE – CLASSIFICAZIONI E FUNZIONI

MTC – Medicina Tradizionale Cinese
Tratto da Amici Shiatsu

LE ENERGIE EREDITARIE

Nell’uomo si distinguono delle energie che operano dal concepimento fino alla morte, prima e dopo il momento della nascita, che si chiamano energie ereditarie.

Queste energie sono in azione sia nell’embrione che nel feto, ma anche nel bambino e nell’adulto.Una caratteristica della medicina cinese è che non fa nessuna differenza tra le energie attive nel ventre materno e quelle che agiscono nel corso dell’esistenza dell’individuo  adulto.

Le energie ereditarie comprendono:

  • Energia Yuan che è l’energia originaria o iniziale
  • Energia Jing che è l’energia essenziale o seminale
  • Energia Zong che è l’energia ancestrale

L’ENERGIA EREDITARIA, YUAN QI

Collega l’individuo a tutto ciò che c’era prima di esistere. Serve a trasmettere le caratteristiche della conservazione della specie in ogni individuo.

E’ trasmessa direttamente dai genitori. Comprende gli apporti dello Yin e dello Yang originari.

E’ la sorgente di tutta la vita e della vitalità dell’individuo. Viene detta energia del cielo anteriore, energia che precede e sovrintende al concepimento, essa rimane per tutta la vita la sorgente della vita, quando si sviluppano le energie dette del cielo posteriore.

L’ENERGIA ESSENZIALE O SEMINALE, JING QI

Formata da due componenti:  una  è presente al concepimento come l’energia originaria e fornisce il “materiale” necessario alla comparsa del nuovo essere a partire dall’incontro di due individui di sesso opposto: si tratta dell’energia jing detta del Cielo Anteriore.

Ma accanto a questa energia, donata al momento del concepimento e una volta per tutte, esiste una energia jing che non è di origine parentale ed è costituita ed è costituita da tutto ciò che è in grado di nutrire il corpo, di contribuire a formarlo, a svilupparlo, a mantenerlo.

Questa energia jing, detta del Cielo Posteriore, è ricavata dall’organismo a partire dagli alimenti più sottili dell’alimentazione e della respirazione.

L’energia jing che agisce nell’organismo è la combinazione di questi due parametri connotati dalla nozione di Cielo Anteriore e Cielo Posteriore.

Queste due jing hanno bisogno l’una dell’altra per essere attive.Si uniscono per aiutare a trasmettere la vita. Si si nota quindi come Cielo Anteriore e Cielo Posteriore non siano separati ma si incontrino e si congiungano in una attività comune durante tutta la vita dell’individuo.

L’energia jing utilizzando i materiali cosmici che circolano in continuazione nell’ambiente – a questo proposito viene chiamata essenziale – sia i materiali depositati a livello degli organi della riproduzione tramite i genitori – e a questo titolo viene detta seminale.

L’ENERGIA ANCESTRALE, ZONG QI

Questa energia è detta del Cielo Posteriore. Ha il compito di rendere attuali i meccanismi vitali del corpo umano sulla base di schemi genetici trasmessi dalla discendenza.

Si forma al centro del torace, al momento dell’unione tra gli apporti essenziali della respirazione ed alimentazione, animati da questi meccanismi ancestrali che si trasmettono di generazione in generazione.

Se si vuole forzare un paragone con la medicina occidentale si potrebbe dire che l’energia originaria yuan qi potrebbe essere il vettore che trasmette il codice il codice del DNA e l’energia zong qi potrebbe essere il messaggero che permette all’RNA di spostarsi nelle varie parti del corpo umano e di svolgersi il proprio lavoro.

Per quanto riguarda l’energia jing qi, sarebbe, probabilmentein rapporto con l’eredità  non cromosomica, cioè quella trasmessa non a livello del nucleo ma del citoplasma.

GLI SHEN

Alle cosiddette energie ereditarie viene associata anche la nozione di Shen. Essi formano da una parte gli affetti affettivi e mentale della persona dall’altra alle disposizioni spirituali che determinano l’individuazione di ciascun essere al momento del concepimento.Gli Shen entrano nell’aspetto psichico delle persone. Conosciuti come “ Anime vegetative”. Questi sono  cinque, uno in ogni organo; Shen – Cuore, HUN – Fegato, PO – Polmone, YI – Milza, ZHI – Reni.

Come diceva il Dr. Duron gli Shen fan si che un ammasso di materia diventi un essere umano.

Gli Shen sono indistruttibili e presenti e presenti per tutta la vita nel destino dell’individuo e per questo vanno inseite nel quadro delle energie ereditarie.

Ricordiamo che queste energie non sono che differenti mezzi per ccogliere un unico fenomeno quello delle distribuzioni e dell’organizzazione dei soffi nell’essere umano.

Gli Shen come le energie originali, essenziale ed ancestrali non sono entità definibili come aventi un corpo fisico o chimico, ma semplici parametri di ripartizione delle energie nel corpo.

A questo titolo non esistono isolatamente, ma ma sono funzionali ad un lavoro comune insieme alle altre energie, le più note sono le energie Yong ed Wei dell’adulto.

LE ENERGIE MACROSCOPICHE DELL’ADULTO

L’ENERGIA YONG

L’energia Yong è un’energia profonda è l’energia di base dell’organismo. E’ detta profonda perché non è turbata dagli eventi esterni.

L’energia Yong è un’energia stabile, tranquilla, varia difficilmente perché non è condizionata dall’esterno.

E’ un’energia pura o chiara a seconda  delle traduzioni.

La Yong si presenta come il risultato della distillazione di tutte le energie che provengono dall’esterno per mantenere organi e visceri.

Le energie esterne provenienti  dall’ alimentazione  e dalla respirazione costituiscono il materiale di base per l’attività dei Tre Riscaldatori, che hanno il compito di metabolizzare sia le energie esterne sia le energie appartenenti al corredo  ereditario dell’individuo.

L’energia Yong si manifesta come il risultato della combinazione di queste energie.

L’energia Yong  secondo la tradizione viene considerata come il prodotto del Riscaldatore Medio.

In realtà è prodotta dal lavoro dei Tre Riscaldatori che in un’immagine semplicistica vengono rappresentati come un caminetto che riveste il fondo del torace e dell’addome.L’energia Yong è dunque in relazione con  1)  Riscaldatore inferiore; infatti essa e’ alimentata da CHONG MO da DU MO (VG) e REN MO (VC) cioè 3 meridiani straordinari che svolgono un compito importante nella diffusione dell’energia originaria Yuan qi. 2)  Riscaldatore Medio; l’energia Yong gode di un rapporto privilegiato con questo riscaldatore poichè essa viene principalmente generata a partire dall’energia Jing degli alimenti solidi e liquidi e poiché si dice che essa esce a livello del Riscaldatore Medio i meccanismi di trasformazione si realizzano soprattutto a questo livello.E’ quindi a livello del Riscaldatore Medio che l’energia Yong ha la sua origine grazie agli apporti alimentari i quali forniscono gli elementi atti a completare la formazione diffusione. 3) Riscaldatore Superiore; grazie al quale l’energia Yong viene inserita nel grande circolo energetico dei Meridiani Principali.

L’energia Yong e’ un’energia nutritiva, per la sua origine alimentare in particolare perché deriva da sostanze “pure e chiare”(quintessenza) degli alimenti che le si attribuisce il compito di nutrire l’insieme degli organi e visceri.

Fondamentale nella formazione di umori, secrezioni,sangue.

Nella formazione del sangue è vista solo nella prospettiva energetica,interviene nell’energia del sangue ma non si identifica con esso.

CIRCOLAZIONE DELL’ENERGIA YONG E PERCORSO

L’energia Yong circola all’interno dei meridiani siano essi principali che secondari che straordinari. L’energia Yong  è in profondità a differenza della Wei Qi. Le due energie sono in relazione Biao_Li tra loro.

Nel cap. XVI° e XVIII° del Lingshu si dice della circolazione dell’energia Yong che tale circolazione è permanente senza fine. Il percorso dei soffi Yong nel corpo a partire dal Riscaldatore Medio che riceve energia dallo Stomaco, l’energia degli alimenti interessa sia i dodici  meridiani principali sia i Meridiani Straordinari (VC-VG).

L’energia quindi passa al Triplice Riscaldatore Superiore e tramite quest’ultimo trasferita al Polmone.

Ricordiamoci che il meridiano del Polmone nasce all’interno del Riscaldatore Medio.

A partire dal P inizia la circolazione nei Meridiani Principali che verranno percorsi per 50 volte (25 di giorno e 25 la notte). L’energia Yong inizia il suo percorso dal meridiano del Polmone, arrivando all’estremità del dito indice dove entra nel canale di Grosso intestino risalendo.

In seguito “come un anello senza fine” segue i meridiani di Stomaco, Milza, Cuore, Intestino Tenue, Vescica, Reni, Maestro del cuore, Triplice riscaldatore, Vescica biliare e Fegato.

Partendo dal Fegato l’energia Yong passa al Vaso Governatore e quindi il Vaso Concezione tornando poi al meridiano di Polmone.

L’ENERGIA WEI

L’energia Wei è opposta e nello stesso tempo complementare all’energia Yong; è quella che l’agopuntore  incontra per primo nell’infissione dell’ago.

CARATTERISTICHE

  • ENERGIA DIFENSIVA: Si tratta di un’energia difensiva secondo il Lavier di una sentinella che difende  e protegge tutte le parti del corpo. Come la Yong è correlata ai meccanismi di digestione degli alimenti solidi e liquidi. Si tratta del lavoro dei Riscaldatori con il loro triplice apporto ,respiratorio,alimentare ed ereditario, che mette l’energia Wei al servizio dell’organismo.
  • Secondo la tradizione l’energia Wei è prodotta dal Riscaldatore Inferiore, come la Yong anche la Wei è in rapporto con la distillazione degli alimenti. La Yong dal Risc. Medio passa al Risc. Superiore e quindi al Polmone ,la Wei si forma anch’essa nel riscaldatore medio ma poi passa al Riscaldatore Inferiore. Come la Yong la Wei viene prodotta con il contributo di tutti e  tre i Riscaldatori. La Wei è detta “energia impura o torbida” in quanto meno raffinata della Yong
  • L’energia Wei circola al di fuori dei meridiani , il SoWen dice che i soffi Wei ‘non possono entrare nei meridiani’. La Wei essendo energia vivace, intrepida coraggiosa e difensiva per natura, non potesse mantenersi all’interno delle correnti energetiche ma si insinuasse dappertutto.
  • L’energia Wei svolge un’azione sia in superficie che in profondita. In superficie; a livello della pelle e dei muscoli, li percorre per riscaldarli, nutrirli e per conferire loro la forza . Si dice che l’energia Wei lavori come il modano del tessitore muovendosi  avanti e indietro consolidando per così dire la trama del derma e dell’epidermide. Con questo lavoro l’energia Wei crea la prima barriera di difesa verso i fattori patogeni esterni. In superficie questa energia è presente soprattutto nelle masse muscolari del corpo e in particolare nei meridiani muscolo-tendinei. Si tratta di fasci energetici che sono presenti a livello dei muscoli, delle aponeurosi e dei tendini. In profondità; Ha un rapporto specifico nella funzionalità del diaframma ed è in rapporto con gli organi e visceri. I testi dicono che l’energia Wei < riscalda il diaframma>. Nella concezione cinese il diaframma non è una barriera intangibile tra la parte bassa del tronco e l’alta ma il contrario è un importante intermediario tra addome e torace. La Wei perciò ha un’importante ruolo di difesa nel mesenchima sia a livello della pleura che del pericardio e peritoneo.Queste grandi sacchi mesenchimali del tronco sono così legate ai tre riscaldatori. Questo sistema ha così il compito di difendere gli organi toracico-addominali che sono poi i visceri piu’ importanti.

CIRCOLAZIONE DELL’ENERGIA WEI

Il percorso è descritto in particolare nel “Lingshu”. L’energia Wei ha un tracciato del tutto differente rispetto alla Yong e varia a seconda del giorno e della notte: di notte scende all’interno del corpo e si dice che va allo Yin; di giorno rimane in superficie e si dice che va allo yang.

Essa percorre venticinque volte il circuito diurno e altrettante volte quello notturno.

Tutte le mattine l’energia Wei scende come una cascata d’acqua e va ad inondare tutto il corpo seguendo i sei grandi canali Yang della mano e del piede.

Risale dal piede verso l’occhio per ridiscendere nuovamente in un movimento di va e vieni tutto il giorno.

Nel risalire dal piede verso l’occhio, l’energia Wei nel risalire verso l‘occhio passa per il meridiano straordinario Qi Mo.

Durante la notte, al contrario, l’energia Wei si immerge nelle profondità del corpo e interessa successivamente, nel corso del suo ciclo ciascuno dei cinque organi: Rene, Cuore, Polmone, Fegato e Milza poi nuovamente il Rene e a ricominciare il suo giro.

Alla fine della notte risale all’occhio da dove ricomincia il suo circuito diurno. Da ciò risulta chiaro che la Wei è in relazione con la vegli e il sonno.Durante il sonno si ritira nelle profondità del corpo.

L’energia Yong e Wei costituiscono una coppia a meccanismo unico.

La Yong circola nei percorsi energetici mo e la Wei circola all’esterno dei meridiani. Non bisogna fraintendere questo “circolare all’esterno” perche’ pur circolando all’esterno i soffi Wei sono in relazione con i tragitti dei meridiani.

Le energie, originaria YUAN, ancestrale ZONG, essenziale JING, nutritiva YONG, difensiva WEI, sono le principali categorizzazioni pratiche in cui vengono suddivisi i soffi del corpo umano, ma la loro azione si coniuga in diverse maniere ed esistono altre denominazioni che permettono di percepire soffi da punti di vista diversi.


L’ENERGIA ZHEN (ENERGIA AUTENTICA)

L’energia ZHEN o autentica è l’insieme delle precedenti energie, in quanto rappresenta l’energia che circola qui ed ora nei meridiani. Quando l’energia è ben equilibrata e circola armoniosamente nei meridiani viene detta energia ZHEN per indicare la totalità dei processi implicati nella grande circolazione.

L’energia ZHEN cioe’ corretta,ortodossa, è l’energia della buona salute,in accordo perfetto con tutto ciò che avviene all’interno e all’esterno del corpo.

L’energia ZHEN e’ conforme alla stagione e alla natura dell’individuo e si oppone all’energia perversa.

19 marzo 2011 Posted by | Arte, Ascoltare, Azioni, Cultura, Progetti, Scienza, Vuoto | , , , , , , | Lascia un commento

La porta senza porta

The Gateless Gate – Wu-men-kuan (Mumonkan)

La porta senza porta

La porta senza porta è quell’accesso invisibile al mondo sensibile del Nirvana, dimensione vivente che supera ogni immaginazione e che sfugge al più grande scienziato.

La porta senza porta è un varco senza porta, è un ingresso invisibile dove ogni cosa trova un senso e dove ogni senso trova il suo posto.

La porta senza porta è l’inizio di un mondo diverso radicato in una cultura complessa che incontra e accompagna altre, una dottrina che segna un’epoca per la storia dell’estremo oriente e dell’asia orientale, come anche per la storia del mondo.

Il buddhismo Chan vive nell’opera di questa tradizione.

Buona lettura!

Vincenzo Di Maio

 

Laying Buddha

LA PORTA SENZA PORTA

Tratto da : Centro Nirvana
Nota: Questo testo è sotto copyright, ma la libera distribuzione tramite Internet è permessa.

L’autore è il Maestro Ch’an Cinese Wu-men Hui-hai (in giapponese Mumon Ekai, 1183-1260).Traduzione in Inglese del tardo maestro Zen Katsuki Sekida (Due Zen Classici, 26-137)

L’originale testo Cinese è stato preso dal seguente sito web giapponese: Mu Mon Kan Wo Yo Mu che lo ha ripreso in Giapponese dal libro Mumonkan, pubblicato in Giappone da Iwanami Bunkõ.

Sfortunatamente, alcuni caratteri Cinesi non furono trovati in questo sito. Tuttavia, essi sono meno del 1% del testo. Dove questi ideogrammi sono definiti, è stato usato il sistema Cinese con cui erano nati (Big 5). C’erano anche ideogrammi che sembravano semplici quadrati neri, senza chiarimenti. Questi sono stati sostituiti con caratteri fittizi (quadrati vuoti).

 

Chan Buddhism

Prefazione di Mumon

Il Buddismo fa della mente la sua base e della Non-Porta la sua Porta. Ora, come attraversare questa Non-Porta? Si dice che le cose che entrano attraverso la porta non potranno mai essere i vostri propri tesori. Tutto ciò che è ottenuto da circostanze esterne alla fine dovrà perire.

Tuttavia, un simile detto sta già sollevando onde benché non vi sia vento. Sta tagliando la pelle immacolata. Così, coloro che cercano di capire attraverso le parole di altre persone, sono come quelli che tentano di colpire la luna con un bastone; o si grattano la scarpa, mentre è il piede che prude. Che cosa hanno a che fare essi con la verità?

Nell’estate del primo anno di Jõtei, Ekai era nel Tempio di Ryûshõ, e lavorava coi monaci come capo-monaco, utilizzando i casi degli antichi maestri come mattoni per battere alla porta, e per farli avanzare a seconda delle loro rispettive capacità. Il testo fu scritto non seguendo alcun schema, ma solo per fare una raccolta di quarantotto casi.

Fu chiamato Wu-men-kuan (giap. Mumonkan), “La Porta Senza Porta”. Un uomo determinato si spingerà inflessibilmente avanti per la sua Via, nonostante tutti i pericoli. Ed allora, perfino il Nata (divinità) ad otto-braccia non potrà impedirglielo. Perfino i quattro sette dell’Ovest e i due tre dell’Est dovrebbero implorare per la loro vita. Se uno non ha determinazione, allora è come gettare uno sguardo su un cavallo che galoppa fuori della finestra: in un batter di ciglia, esso sarà andato.

Strofa – La Grande Via è senza porta, avvicinata in mille modi. Una volta oltrepassata la soglia, si volerà attraverso l’universo.

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Caso 1- Il “Mu” di Jõshû

Un monaco chiese a Jõshû, “Un cane ha la Natura di Buddha?” Jõshû rispose, “Mu” (No!).

Il Commento di Mumon – Per maestroggiare lo Zen, si deve oltrepassare la barriera dei patriarchi. Per ottenere questa sottile realizzazione, bisogna completamente modificare la Via di pensare.

Se non si oltrepassa la barriera, e non si elimina il vecchio modo di pensare, allora si sarà come un fantasma che si aggrappa ai cespugli ed alle erbacce.

Ora, io voglio chiedervi, qual’è la barriera dei patriarchi?

E’ questa sola parola, “Mu”(vacuità). Perché quella è la ante-porta per lo Zen.

E quindi essa è chiamata il “Mumonkan dello Zen.”

Se passate attraverso di essa, voi non solo vedrete Jõshû faccia a faccia, ma andrete anche di pari passo coi successivi patriarchi, arricciando le vostre sopracciglia con loro, vedendo con gli stessi occhi, sentendo con gli stessi orecchi. Non è una prospettiva deliziosa?

Non gradireste oltrepassare questa barriera?

Risvegliate il vostro intero corpo con le sue trecentosessanta ossa e giunture, ed i suoi ottanta-quattromila pori della pelle; fate appello ad uno spirito di grande dubbio e concentratevi su questa parola “Mu”. Portatela in mente continuamente, giorno e notte. Non formatevi una concezione nichilistica della vacuità, né una concezione relativa di “c’è” o “non-c’è”. Sarà proprio come se aveste ingoiato una palla di ferro incandescente, che non potete sputare fuori anche se ci provate.

Tutte le idee illusorie e i pensieri ingannevoli finora accumulati saranno sterminati, e quando sarà giunto il tempo, l’interno e l’esterno saranno spontaneamente riuniti. Voi lo conoscerete, ma solo per voi soli, come un muto che ha avuto un sogno e non può riferirlo a nessuno.

Poi all’improvviso, tutt’ad un tratto avverrà un’esplosiva conversione, e voi potrete stupire i cieli e scuotere la terra. Sarà come se portaste via la grande spada del coraggioso generale Kan’u e la teneste nella vostra mano. Quando incontrerete il Buddha, lo ucciderete; quando incontrerete i patriarchi, pure li ucciderete. Sull’orlo tra la vita e la morte, comanderete in perfetta libertà; tra i sei mondi ed i quattro modi di esistenza, voi godrete un dolce e piacevole samadhi.

Ora, voglio ancora chiedervi, “Come eseguirete tutto ciò?”

Impiegate ogni grammo della vostra energia per lavorare su questo “Mu!”. Se lo manterrete dentro senza interruzione, vedrete: una sola scintilla, e la santa candela è accesa!

La Strofa di Mumon – Il cane, la Natura di Buddha, la dichiarazione, perfetta e finale. Prima che possiate dire che ce l’ha o non ce l’ha, sarete belli che morti.

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Caso 2 – la Volpe di Hyakujõ

Quando Hyakujõ Oshõ declamava una certa serie di sermoni, un vecchio seguiva sempre i monaci nella sala principale e li ascoltava. Quando i monaci lasciavano la sala, anche il vecchio se ne andava. Tuttavia, un giorno lui rimase dentro, e Hyakujõ gli chiese “Chi sei tu, che te ne stai qui davanti a me?”

Il vecchio rispose: “Io non sono un essere umano. Nell’antichità, al tempo di Buddha Kashyapa, io ero un capo-monaco e vivevo qui su questa montagna. Un giorno uno studente mi chiese, ‘Può un uomo illuminato cadere sotto il giogo della causalità, o no?’

Io risposi, ‘No, lui non può’. Da allora in poi io fui condannato a subire cinquecento rinascite come volpe. Ora io ti imploro di darmi la parola giusta per liberarmi da questa mia vita da volpe. Così, dimmi, può un uomo illuminato cadere sotto il giogo della causalità, o no?”

Hyakujõ rispose, “Egli non può ignorare la causalità”.

Non appena il vecchio uomo ebbe sentito queste parole, lui fu illuminato. Prostrandoglisi, egli disse, “Io sono liberato da questa mia vita da volpe e me ne resterò su questa montagna. Ma io ho ancora un favore da chiederti: per favore, seppellisci questo mio corpo, come quello di un monaco morto.”

Hyakujõ fece battere il martelletto dal direttore dei monaci per informare ciascuno che dopo il pasto di mezzogiorno vi sarebbe stato un servizio funebre per un monaco morto. I monaci si chiesero il perché, dicendo, “Tutti siamo in buona salute; nessuno è ammalato. Che significa questo?”

Dopo il pasto Hyakujõ condusse i monaci ai piedi di una roccia sul lato esterno della montagna e col suo bastone toccò il corpo morto di una volpe ed effettuò la cerimonia di cremazione.

Quella sera, lui salì sul palco e rivelò ai monaci l’intera storia.

Allora Õbaku gli chiese, “Il vecchio diede la risposta sbagliata, e quindi fu condannato ad essere una volpe per cinquecento rinascite. Ora, supponi che lui avesse dato la risposta corretta, che cosa sarebbe accaduto poi?”

Hyakujõ disse, “Vieni qui da me, e te lo dirò”.

Õbaku salì da Hyakujõ e si circondò le orecchie con le mani.

Hyakujõ con una risata battè le sue mani ed esclamò, “Pensavo che il barbaro avesse una barba rossa, ma ora io vedo di fronte a me il vero barbaro rosso-barbuto stesso!”

Il Commento di Mumon – Non cadere sotto il giogo della causalità: come ha potuto ciò fare di un monaco una volpe? Non ignorare la causalità: come ha potuto ciò illuminare il vecchio?

Se riuscite a capire questo, comprenderete come il vecchio Hyakujõ avrebbe goduto cinque-cento rinascite come volpe.

La Strofa di Mumon – Non cadendo, non ignorando: due facce di una stessa medaglia. Non ignorando, non cadendo: Mille errori, un milione di errori.

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Caso 3 – Gutei solleva un Dito

Ogni qualvolta a Gutei Oshõ si chiedeva dello Zen, lui semplicemente sollevava il dito.

Una volta un visitatore chiese all’attendente di Gutei, “Cosa insegna il tuo maestro?”

Il ragazzo subito sollevò il suo dito. Sentendo ciò, Gutei tagliò con un coltello il dito del ragazzo.

Il ragazzo, gridando di dolore, cominciò a fuggire.

Gutei lo chiamò, e quando lui si voltò, Gutei sollevò il dito.

Il ragazzo fu improvvisamente illuminato.

Quando Gutei era prossimo a morire, egli disse ai suoi monaci assemblati, “io ricevetti un unico dito-Zen da Tenryû e lo usai per tutta la mia vita, ma ancora non l’ho esaurito”.

Appena ebbe finito di dire questo, lui entrò nell’eterno Nirvana.

Il Commento di Mumon – L’illuminazione di Gutei e del ragazzo non fu dipendente dal dito.

Se capite questo, Tenryû, Gutei, il ragazzo, e voi stessi state tutti correndo con uno spiedo.

La Strofa di Mumon – Gutei ha fatto diventare il vecchio Tenryû uno sciocco, Emancipando il ragazzo con un solo taglio, Proprio come Kyorei spaccò il Monte Kasan Per farvi passare attraverso il Fiume Giallo.

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Caso 4 – Il Barbaro Occidentale senza Barba

Wakuan disse, “Perché il Barbaro Occidentale non ha nessuna barba?”

Il Commento di Mumon – Lo Studio dovrebbe essere vero studio, l’Illuminazione dovrebbe essere vera illuminazione. Voi dovreste una volta incontrare direttamente questo barbaro per essere veramente intimi con lui. Ma dire che voi siete già veramente intimi con lui divide in due ognuno di voi.

La Strofa di Mumon – Non discutete del vostro sogno davanti ad uno sciocco. Un Barbaro senza barba oscura la chiarezza.

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Caso 5 – Lo “Stare su un Albero” di Kyõgen

Kyõgen Oshõ disse, “Vi è un uomo su un albero che pende da un ramo con la sua bocca; le sue mani non afferrano il ramo, i suoi piedi non poggiano sulla terra. Qualcuno appare sotto l’albero e gli chiede, ‘Qual’è il significato della venuta di Bodhidharma dall’Ovest?’ Se non risponde, egli rifiuta di rispondere alla domanda. Se lui risponde, perderà la sua vita. Cosa fareste voi in tale situazione?”

Il Commento di Mumon – Anche se la vostra eloquenza è fluente come un fiume, non è di alcun profitto. Anche se voi foste in grado di esporre tutta la letteratura Buddista, questo non servirebbe a niente. Se siete capaci di risolvere questo problema, avrete ridato vita alla Via che era morta fino a questo momento e avrete distrutto la via che finora era viva.

Altrimenti dovrete aspettare Maitreya Buddha e chiedere a lui.

La Strofa di Mumon – Kyõgen è davvero avventato; Il suo velenoso vizio è infinito. Egli chiude le bocche dei monaci, e occhi da diavolo sprizzano dai loro corpi.

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Caso 6 – Il Buddha solleva un Fiore

Quando Shakyamuni Buddha stava sul Monte Grdhrakuta, egli sollevò un fiore davanti ai suoi ascoltatori. Ognuno rimase in silenzio. Solamente Mahakashyapa irruppe in un ampio sorriso.

Il Buddha disse, “Io ho il Vero Occhio del Dharma, la Meravigliosa Mente del Nirvana, la Vera Forma del Senza-forma e la Sottile Porta del Dharma, indipendenti dalle parole e trasmessi al di là della dottrina. Questo è ciò che io ho affidato a Mahakashyapa.”

Il Commento di Mumon – Gautama dal volto dorato invero trascurò i suoi ascoltatori.

Egli trasformo la bellezza in male e vendette carne di cane spacciata come carne di montone.

Lui stesso pensò che era meraviglioso.

Tuttavia, se nel pubblico tutti avessero riso, come si poteva trasmettere il suo Vero Occhio?

E ancora, se Mahakashyapa non avesse sorriso, come l’avrebbe potuto trasmettere il Buddha?

Se dite che il Vero Occhio di Dharma può essere trasmesso, allora l’uomo dal volto dorato è come un viscido furbastro di città che inganna il goffo abitante di paese.

Se dite che non può essere trasmesso, allora perché il Buddha approvò Mahakashyapa?

La Strofa di Mumon – Sollevando un fiore, il Buddha tradì la sua coda arricciata. Al sorriso di Mahakashyapa, cielo e terra furono sconcertati.

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Caso 7 – Il “Lava la tua Ciotola” di Jõshû

Un monaco disse a Jõshû, “Io sono appena entrato in questo monastero. Per favore insegnami.”

“Hai mangiato la tua crema di farina e latte di riso?” chiese Jõshû.

“Sì, l’ho fatto”, rispose il monaco.

“Allora, adesso è meglio che lavi la tua ciotola”, disse Jõshû.

Con questo, il monaco ottenne l’intuizione.

Il Commento di Mumon – Non appena egli apre la bocca, Jõshû mostra la sua colecisti. Egli fa vedere il suo cuore e fegato. Mi chiedo se questo monaco abbia realmente sentito la verità. Io spero che lui non abbia sbagliato prendendo la campana per una giara.

La Strofa di Mumon – Sforzandosi di interpretare chiaramente, si ritarda il proprio conseguimento. Non sai che la fiamma è fuoco? Il vostro riso è stato da tempo cucinato.

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Caso 8 – Keichû, il Fabbricante di Ruote

Gettan Oshõ disse, “Keichû, il primo fabbricante di ruote fece un carro le cui ruote avevano cento raggi. Ora, supponete di prendere un carro e di rimuoverne sia le ruote che l’asse. Che cosa avreste?”

Il Commento di Mumon – Se qualcuno può direttamente padroneggiare questo argomento, il suo occhio sarà come una meteora, il suo spirito come un bagliore del fulmine.

La Strofa di Mumon – Quando si girano le ruote spirituali, Perfino il maestro non riesce a seguirle. Esse viaggiano in tutte le direzioni, di sopra e di sotto, a nord, sud, est, ed ovest.

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Caso 9 – Daitsû Chishõ Buddha

Un monaco chiese a Kõyõ Seijõ, “Daitsû Chishõ Buddha sedette in zazen per dieci kalpa e non poté raggiungere la Buddhità. Malgrado il nome, egli non divenne un Buddha. Com’è possibile?”

Seijõ disse, “La tua domanda è piuttosto ovvia”.

Il monaco chiese, “Egli meditò così a lungo; perché non poté raggiungere la Buddhità?”

Seijõ disse, “Perché lui non divenne un Buddha!”

Il Commento di Mumon – Ammettiamo la realizzazione del barbaro, ma non la sua compren-sione. Quando un uomo ignorante realizza questo, egli è un saggio.

Quando un saggio comprende ciò, egli è un ignorante.

La Strofa di Mumon – Meglio emancipare la vostra mente che il vostro corpo; Quando la mente è emancipata, il corpo è libero, Quando corpo e mente, sono entrambi emancipati, Anche dèi e spiriti ignorano il potere mondano.

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Caso 10 – Seizei è Improvvisamente Indigente

Seizei disse a Sõzan, “Seizei è improvvisamente diventato indigente. Lo sosterrai?”

Sõzan esclamò, “Seizei!”

Seizei rispose, “Sì, signore!”

Sõzan disse, “Hai bevuto tre coppe del vino più eccellente che c’è in Cina, eppure tu dici che non hai ancora inumidito le tue labbra!”

Il Commento di Mumon – Seizei finse di ritirarsi. Qual’era il suo schema? Sõzan aveva l’occhio di Buddha e vide le motivazioni del suo oppositore. Tuttavia, io voglio chiedervi, a che punto Seizei bevve il vino?

La Strofa di Mumon – Povero come Hantan, con una mente come (quella di) Kõu; Senza mezzi di sostentamento, egli osa rivaleggiare con il più ricco.

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Caso 11 – Jõshû Vede gli Eremiti

Jõshû andò al cottage di un eremita e chiese, “C’è il maestro? C’è il maestro?”

L’eremita alzò il suo pugno.

Jõshû disse, “L’acqua è troppo poco profonda per ancorare qui”, e andò via.

Arrivando al cottage di un altro eremita, lui chiese di nuovo, “C’è il maestro? C’è il maestro?”

Anche questo eremita alzò il suo pugno.

Jõshû disse, “Libero di dare, libero di prendere, libero di uccidere, libero di salvare”, e poi fece un profondo inchino.

Il Commento di Mumon – Entrambi gli eremiti alzarono i loro pugni; perché uno fu accettato e l’altro respinto? Ditemi, qual’è la difficoltà qui?

Se saprete dare una risposta per chiarire questo problema, capirete che la lingua di Jõshû non ha dentro l’osso, ora aiutando gli altri, ora buttandoli giù, con perfetta libertà.

Tuttavia, devo ricordarvi: i due eremiti potrebbero anche aver capito Jõshû.

Se dite che c’è da fare una scelta tra i due eremiti, voi non avete l’occhio di realizzazione.

Se dite che non c’è alcuna alternativa tra i due, voi non avete nessun occhio di realizzazione.

La Strofa di Mumon – L’occhio come una meteora, lo spirito come un’illuminazione; Una lama apportatrice di morte, una spada che dona la vita.

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Caso 12 – Zuigan Chiama il Suo Maestro

Zuigan Gen Oshõ chiamava se-stesso ogni giorno, “Maestro!” e rispondeva, “Sì, signore!”

Poi lui diceva, “Stai sempre sveglio!” e rispondeva, “Sì, signore!”

“D’ora in avanti, non essere mai ingannato dagli altri!” “No, io non lo sarò!”

Il Commento di Mumon – Il vecchio Zuigan compra e vende se-stesso. Egli prende diverse maschere da dio e maschere da demone le indossa e gioca con esse. Perché, eh?

Uno chiama e l’altro risponde; uno rimane sveglio, l’altro dice che lui non sarà mai ingannato.

Se vi fissate su ciascuno di essi, farete un grosso sbaglio.

Se volete imitare Zuigan, vi trasformerete in una volpe.

La Strofa di Mumon – Aggrappandosi all’illusorio stato di coscienza, Gli studenti della Via non realizzano la verità. Il seme di nascita e morte attraverso le infinite eternità: Lo stolto lo chiama come se fosse l’originale vero ‘sé’.

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Caso 13 – Tokusan solleva le Sue Ciotole

Un giorno Tokusan scendeva verso la sala da pranzo, tenendo le sue ciotole.

Seppõ lo incontrò e chiese, “Dove vai con le tue ciotole? La campana non ha preavvisato, ed il tamburo non ha suonato”. Tokusan si voltò e risalì nella sua stanza.

Seppõ raccontò questo fatto a Gantõ che rimarcò, “Tokusan è famoso, ma non conosce l’ultima parola”.

Tokusan sentì questo commento e mandò il suo attendente a dire a Gantõ: “Non mi approvi?” gli chiese. Gantõ sussurrò il significato del suo dire. Al momento Tokusan non disse niente, ma il giorno dopo lui salì sul podio, e si vide subito che era molto diverso dal solito!

Gantõ, andando verso il nord della sala, battè le sue mani e rise rumorosamente, dicendo, “Congratulazioni! Il nostro vecchio uomo ha imparato a dire l’ultima parola! D’ora in poi, in questo paese, nessuno potrà superarlo!”

Il Commento di Mumon – Quanto all’ultima parola, né Gantõ né Tokusan se l’erano mai sognata! Se guardate bene alla questione, scoprite che essi sono come burattini sulla mensola!

La Strofa di Mumon – Se realizzate il primo, voi dominerete anche l’ultimo. Il primo e l’ultimo, non sono una parola!.

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Caso 14 – Nansen Taglia il Gatto in Due

Nansen Oshõ vide i monaci delle sale Orientali e Occidentali che litigavano per un gatto.

Egli prese il gatto e disse, “Se saprete dare una risposta, salverete il gatto. Se no, io l’ucciderò”.

Nessuno seppe rispondere, e Nansen tagliò il gatto in due.

Jõshû ritornò quella sera, e Nansen gli raccontò dell’incidente.

Jõshû prese i suoi sandali, se li mise sulla testa, e se ne andò fuori.

“Se tu fossi stato qui, avresti salvato il gatto”, rimarcò Nansen.

Il Commento di Mumon – Ditemi, che cosa volle intendere Jõshû quando si mise i sandali in testa? Se saprete dare una risposta a questo, vedrete che quella frase di Nansen fu detta con buona ragione. Se no, “Pericolo!”

La Strofa di Mumon – Se Jõshû fosse stato presente, avrebbe fatto l’opposto; Quando la spada è sfoderata, perfino Nansen implora per la sua vita.

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Caso 15 – I Sessanta Colpi di Tõzan

Tõzan venne a studiare da Unmon. Unmon chiese, “Da dove vieni?” “Da Sato”, rispose Tõzan.

“Dove sei stato durante l’estate?”

“Beh, ero al monastero di Hõzu, a sud del lago”.

“Quando sei andato via da là?”, chiese Unmon.

“Il 25 Agosto” fu la replica di Tõzan. “Allora ti risparmio sessanta colpi”, disse Unmon.

Il giorno dopo Tõzan andò da Unmon e gli disse, “Ieri tu hai detto che mi risparmiavi sessanta colpi. Ora ti prego di dirmi, dove era la mia colpa?”

“Oh, tu, sacco di riso!” gridò Unmon. “Cosa vai in giro a vagare, ora ad ovest del fiume, ora a sud del lago?”. AlloraTõzan giunse ad una potente esperienza di illuminazione.

Il Commento di Mumon – Se Unmon avesse dato a Tõzan il vero cibo dello Zen e l’avesse incoraggiato a sviluppare un attivo spirito Zen, la sua scuola non sarebbe declinata come poi avvenne.

Tõzan ebbe una tormentosa lotta durante tutta la la notte, perso nel mare di giusto e sbagliato. Egli giunse ad un totale vicolo cieco. Dopo aver atteso l’alba, lui di nuovo andò da Unmon, ed Unmon gli costruì di nuovo un ritratto di Zen.

Anche se lui fu direttamente illuminato, Tõzan non poteva essere chiamato ‘brillante’.

Ora, voglio chiedervi, a Tõzan si sarebbe dovuto dare i sessanta colpi o no?

Se dite di sì, voi ammettete che tutto l’universo dovrebbe essere colpito.

Se dite di no, allora voi accusate Unmon di dire una bugia.

Se realmente comprendete il segreto, voi sarete in grado di respirare lo spirito dello Zen con la stessa bocca di Tõzan.

La Strofa di Mumon – Il leone aveva un segreto per confondere il suo cucciolo; Il cucciolo si acquattò, saltò su, e si gettò in avanti. La seconda volta, una mossa casuale condusse allo scacco matto. La prima freccia era leggera, ma la seconda andò in profondità.

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Caso 16 – Quando Suona la Campana

Unmon disse, “Il mondo è enorme e vasto. Perché quando suona la campana indossate il manto fatto con sette-pezzi?”

Il Commento di Mumon – Studiando lo Zen, voi non dovreste ondeggiare a causa di suoni e forme. Anche se riusciste a raggiungere l’intuizione profonda sentendo una voce o vedendo una forma, questo è semplicemente la Via ordinario delle cose.

Non sapete che il vero studente Zen comanda i suoni, controlla le forme, è chiaroveggente in ogni evento e libero in ogni occasione? Ammesso che voi siate liberi, ora ditemi: E’ il suono che arriva all’orecchio o è l’orecchio che va verso il suono?

Se il suono ed il silenzio muoiono entrambi, in una tale unione come si può parlare di Zen?

Mentre ascoltate con le vostre orecchie, non potete parlare. Ma quando sentirete con i vostri occhi, allora sarete veramente interiori.

La Strofa di Mumon – Con la realizzazione, le cose diventano una sola famiglia; Senza la realizzazione, le cose sono separate in mille forme. Senza la realizzazione, le cose sono un’unica famiglia; Con la realizzazione, le cose sono separate in mille modi.

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Caso 17 – Chû, l’Insegnante Nazionale fa Tre Chiamate

L’Insegnante Nazionale chiamò il suo attendente tre volte, e tre volte l’attendente rispose.

L’Insegnante Nazionale disse, “Io temevo che stavo per tradirti, ma in realtà eri tu che mi stavi tradendo”.

Il Commento di Mumon – L’Insegnante Nazionale chiamò tre volte, e la sua lingua precipitò in terra. L’attendente rispose tre volte, e lui diede la sua risposta con splendore.

L’Insegnante Nazionale era vecchio e solitario; egli aveva un capo mandriano e lo costringeva a mangiare erba. L’attendente non ne aveva nessuno. Il cibo delizioso ha poca attrazione per un uomo che è sazio. Ditemi, in quale punto vi fu il tradimento?

Quando il paese è fiorente, il talento è apprezzato. Quando la casa è ricca, i figli sono superbi.

La Strofa di Mumon – Egli portava un giogo di ferro senza buchi, E lasciò una maledizione per agitare i suoi discendenti. Se volete sollevare il cancello e le porte, Dovrete scalare una montagna di spade a piedi nudi.

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Caso 18 – Il “Masagin” di Tõzan

Un monaco chiese a Tõzan, “Cos’è il Buddha?”

Tõzan rispose, “Masagin!” [tre libbre di lino].

Il Commento di Mumon – Il vecchio Tõzan raggiunse lo Zen povero di un mollusco. Lui aprì un pò le due metà del guscio e mise in mostra tutto il fegato e gli intestini all’interno. Ma ditemi, voi come vedete Tõzan?

La Strofa di Mumon – “Tre libbre di lino” vengono a spazzare via tutto; Misteriose furono le parole, ma ancor più misterioso era il significato. Quelli che disputano tra giusto e sbagliato, e quelli schiavi del giusto e sbagliato.

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Caso 19 – “La Mente Ordinaria È la Via” di Nansen

Jõshû chiese a Nansen, “Qual’è la Via?”

Nansen rispose, “La mente ordinaria è la Via”.

“Come posso fare a trovarla?” chiese Jõshû.

“Se la cerchi, sarai separato da essa”, rispose Nansen.

“Come posso conoscere la Via se non la cerco?” insistette Jõshû.

Nansen disse, “La Via non è un fatto di conoscerla o non conoscerla. Conoscere è illusorio; non conoscere è confusione. Quando senza possibilità di dubbio sei realmente arrivato alla vera Via, la troverai tanto vasta ed illimitata come lo spazio esterno. Come si può parlare di essa a livello di giusto e sbagliato?”

A queste parole, Jõshû giunse ad una realizzazione improvvisa.

Il Commento di Mumon – Nansen si dissolse e si squagliò di fronte alla domanda di Jõshû, e non poté offrire un chiarimento plausibile. Anche se Jõshû giunse ad una realizzazione, egli dovrà scavare in se-stesso per altri trent’anni prima di poterlo pienamente comprendere.

La Strofa di Mumon – Fiori in primavera, la luna in autunno; Le brezze in estate, la neve d’ inverno. Se cose inutili non ingombrano la vostra mente, Voi avrete i migliori giorni della vostra vita.

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Caso 20 – L’Uomo di Grande Forza

Shõgen Oshõ chiese, “Perché un uomo di grande forza non solleva le sue gambe?”

E lui disse anche, “non è la lingua con la quale egli parla”.

Il Commento di Mumon – Bisogna dire che Shõgen ci mostra tutto il suo stomaco ed i suoi intestini. Ma ahimè, nessuno può apprezzarlo!

Ed anche se qualcuno potesse apprezzarlo, fatelo venire da me, ed io lo colpirò severamente.

Perché? Se volete trovare oro puro, dovete vederlo attraverso il fuoco.

La Strofa di Mumon – Alzando le sue gambe, lui scalcia il Profumato Oceano; Abbassando la sua testa, guarda in giù sul quarto cielo del Dhyana. Non c’è nessun spazio grande abbastanza per il suo corpo. Ora, qualcuno scriverà qui l’ultima riga.

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Caso 21 – Il “Kanshiketsu” di Unmon

Un monaco chiese ad Unmon, “Cos’ è il Buddha?”

Unmon rispose, “Kanshiketsu!” [Un bastone per il cesso].

Il Commento di Mumon – Unmon era troppo povero per preparare il cibo semplice, troppo occupato per parlare dalle note. Egli in modo troppo frettoloso nominò lo shiketsu per sostenere la Via. Così si prefigurò il declino del Buddismo.

La Strofa di Mumon – Lampi che balenano, scintille che sprizzano; Il momento che sta lampeggiando, è perso per sempre.

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Caso 22 – Il “Butta giù lo Stendardo” di Kashyapa

Ananda chiese a Kashyapa, “L’Onorato nel Mondo ti ha dato il mantello dorato; ti ha dato anche qualcos’altro?”

“Ananda!” gridò Kashyapa.

“Sì, signore!” rispose Ananda.

“Butta giù lo stendardo sulla porta”, disse Kashyapa.

Il Commento di Mumon – Se a questo punto sapete cosa dire, vedrete che l’assemblea sul Monte Grdhrakuta sta ancora continuando solennemente.

Se così non è, allora questo è ciò di cui Vipasyin Buddha si preoccupava dall’antichità; e fino ad ora egli non ha ancora acquisito l’essenza.

La Strofa di Mumon – Ditemi – domanda o risposta – chi era più interiore? Molti hanno aggrottato le loro sopracciglia su questo; Il fratello più vecchio chiama, il fratello più giovane risponde, e tradiscono il segreto di famiglia. Essi ebbero una sorgente speciale, non una di yin e yang.

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Caso 23 – Non Pensare né al Bene né al Male

Il sesto Patriarca fu inseguito dal monaco Myõ fino alla Montagna di Taiyu.

Il patriarca, vedendo arrivare Myõ, posò il manto e la ciotola su una roccia e disse, “Questo manto rappresenta la fede; non si dovrebbe lottare per averlo. Se vuoi portartelo via, prendilo ora”. Myõ tentò di portarselo via, ma esso era pesante come una montagna e non si spostava da lì. Esitante e tremante, lui gridò, “Io sono venuto per il Dharma, non per il mantello. Per favore, ti imploro, dammi la tua istruzione.”

Il patriarca disse, “Non pensare né al bene né al male. In questo stesso momento, qual’è il ‘sé’ originale del monaco Myõ?”

A queste parole, Myõ fu direttamente illuminato. Tutto il suo corpo era madido di sudore. Egli pianse e si prostrò, dicendo, “Oltre alle parole ed al significato segreto che tu mi hai appena rivelato, c’è ancora qualcos’altro, di più profondo?”

Il patriarca disse, “Ciò che io ti ho detto non è affatto segreto. Quando guardi nel tuo proprio vero sé, tutto quello che è più profondo, è trovato proprio là.”

Myõ disse, “Io fui per molti anni monaco sotto Õbai, ma io non potei realizzare il mio vero sé. Ma ora, ricevendo la tua istruzione, io so che è come un uomo che beve acqua e da solo sà se essa è fredda o calda. O mio fratello laico, tu ora sei il mio insegnante.”

Il patriarca disse, “Se dici così, entrambi chiameremo Õbai come nostro insegnante. Stai attento al tesoro e tieniti stretto ciò che hai raggiunto!”

Il Commento di Mumon – Il sesto Patriarca era, per così dire, interessato ad aiutare un uomo in emergenza, e dimostrò una gentilezza materna. È come se lui avesse sbucciato un fresco frutto e, rimossi i semi, ve li avesse messi in bocca, e chiesto a voi di ingoiarli.

La Strofa di Mumon – Non si può descriverlo; non si può dipingerlo; Non si può ammirarlo; non tentate di mangiarlo crudo. Il vostro vero ‘sé’ non ha nessun luogo per nascondersi; Quando il mondo è distrutto, esso non sarà distrutto.

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Caso 24 – Il Parlare ed il Silenzio di Fuketsu

Un monaco chiese a Fuketsu, “Sia il parlare che il silenzio, hanno il difetto di essere ri [azione interna della mente] o bi [azione esterna della mente]. Come possiamo evitare questi difetti?”

Fuketsu disse, “Io ricordo sempre la primavera in Kõnan,

Luogo in cui le pernici cantavano;

Com’erano fragranti gli innumerevoli fiori!”

Il Commento di Mumon – Lo spirito Zen di Fuketsu era come un lampo ed aprì un passaggio chiaro. Tuttavia, egli fu impigliato nelle parole del monaco e non poteva tagliarle.

Se voi potete realmente afferrare il problema, potrete trovare prontamente la via d’uscita.

Ora, mettendo da parte il linguaggio del samadhi, ditelo con le vostre proprie parole.

La Strofa di Mumon – Egli non usa una frase raffinata; Prima di parlare, egli l’ha già consegnata.

Se voi vi mettete a parlare a vanvera, Scoprirete di aver ormai perso la Via.

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Caso 25 – Il Sogno di Kyõzan

In un sogno, Kyõzan Oshõ sognò di andare al luogo di Maitreya e fu messo a sedere nel terzo posto. Un monaco anziano batté un martelletto e disse, “Oggi parlerà quello che sta nel terzo posto”. Kyõzan si alzò e, battendo il martelletto, disse, “La verità del Mahayana è aldilà dei quattro propositi e trascende le cento negazioni. Taichõ! Taichõ!” [Ascoltate la verità!]

Il Commento di Mumon – Ora ditemi, Kyõzan fece una predica, o non la fece? Se egli apre la bocca, è perso; se si sigilla la bocca, lui è perso. Ma anche se lui non apre né chiude la bocca, egli è a cento ed ottomila [miglia dalla verità].

La Strofa di Mumon – Nella vasta luce del giorno, sotto il cielo blu, Egli facendo credere che sia un sogno, Costruisce una storia mostruosa, E così tenta di ingannare l’intera folla.

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Caso 26 – Due Monaci arrotolano le Persiane

Quando i monaci si riunivano prima del pasto di mezzogiorno per ascoltare la sua conferenza, il grande Hõgen di Seiryõ indicò le persiane di bambù. Due monaci simultaneamente andarono e le arrotolarono su. Hõgen disse, “Uno guadagna, uno perde”.

Il Commento di Mumon – Ditemi, chi guadagnò e chi perse? Se avete l’occhio per penetrare il segreto, potrete vedere dove Seiryõ Kokushi sbagliò. Tuttavia, vi metto fortemente in guardia circa il discutere di guadagno e perdita.

La Strofa di Mumon – Arrotolando le persiane, il grande cielo è scoperto, Ma il grande cielo non arriva fino allo Zen. Perché non li gettate tutti giù dal cielo, E mantenete la vostra pratica così stretta che perfino l’aria non possa scappare?

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Caso 27 – Il “Non Mente, Non Buddha, Non Cose” di Nansen

Un monaco chiese a Nansen, “Vi è qualche Dharma che non sia stato predicato alle persone?”

Nansen rispose, “Si, c’è.”

“Quale è la verità che non è stata insegnata?” chiese il monaco.

Nansen disse, “Non c’è mente; non c’è Buddha; non ci sono le cose.”

Il Commento di Mumon – A questa domanda, Nansen usò tutto il suo tesoro e non fu affatto confuso.

La Strofa di Mumon – Discorrere troppo rovina la vostra virtù; Il Silenzio è davvero ineguagliabile. Lasciate che le montagne diventino il mare; Ed io non vi farò nessun commento.

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Caso 28 – Ryûtan Spegne la Candela

Tokusan chiese a Ryûtan di parlargli dello Zen, durante la notte.

Alla fine, Ryûtan disse, “Basta, adesso, è notte fonda. Perché non te ne vai a letto?”

Tokusan fece i suoi inchini ed alzò le tapparelle per controllare, ma lui fu colmato da oscurità. Rivolgendosi di nuovo a Ryûtan, egli disse, “Di fuori è scuro!”.

Ryûtan accese una candela di carta e gliela diede.

Tokusan stava quasi per prenderla quando Ryûtan la spense.

A quel punto, Tokusan ebbe all’improvviso una profonda esperienza e si inchinò.

Ryûtan disse, “Che genere di realizzazione hai avuto?”

“D’ora in poi”, disse Tokusan, “io non dubiterò più delle parole di un vecchio Oshõ che è famoso dappertutto sotto il sole.”

Il giorno dopo, Ryûtan salì sul podio e disse, “Io vedo un tipo fra di voi, le cui zanne sono come gli alberi di spade. La sua bocca è come una ciotola di sangue. Colpitelo con un bastone, ed egli non girerà nemmeno la testa per guardarvi. Un giorno o l’altro, lui scalerà la più alta delle vette e vi stabilirà la nostra Via!”.

Tokusan portò le sue note sul Sutra del Diamante in cima alla sala, le illuminò con una torcia e disse, “Anche se voi avete esaurito le dottrine più astruse, ciò è come mettere un capello in un enorme spazio. Anche se avete imparato tutti i segreti del mondo, è come una goccia d’acqua dispersa nel grande oceano”. Ed egli bruciò tutte le sue note.

Poi, facendo un inchino, prese commiato dal suo insegnante e se ne andò.

Il Commento di Mumon – Prima che Tokusan attraversasse la barriera dal suo luogo natio, la sua mente bruciava e la sua bocca emetteva amarezza. Egli andò verso sud, con l’intenzione di distruggere le dottrine della speciale trasmissione aldifuori dei sutra.

Quando arrivò sulla strada di Reishû, egli chiese ad una vecchia donna del cibo per “rinfrescarsi la mente”.

“O Egregio, che genere di letteratura porta nel Suo pacco?” chiese la vecchia donna.

“Commentari sul Sutra del Diamante”, rispose Tokusan.

La vecchia donna disse, “So che in quel sutra è detto, ‘La mente passata non può essere trattenuta, la mente presente non può essere trattenuta, la mente futura non può essere trattenuta’. Ora, gradirei chiederLe, quale mente sta cercando di rinfrescare?”

A questa domanda Tokusan fu stupito. Comunque, non rimase inerte alle sue parole ma chiese, “Conosce qualche buon insegnante qui?”

La vecchia donna disse, “A cinque miglia da qui Lei troverà Ryûtan Oshõ.”

Andando da Ryûtan, Tokusan portò il peggio di sé. Le sue prime parole furono incoerenti con quelle che poi disse in seguito. Quanto a Ryûtan, sembrò aver perso ogni senso della vergogna nella sua compassione verso il suo figlio. Trovando un po’ di cenere accesa nell’altro, sufficiente per avviare un fuoco, lui versò affrettatamente dell’acqua fangosa per annichilire subito tutto. Ma una riflessione un po’ più fresca ci dice che era tutta una farsa.

La Strofa di Mumon – Sentire il nome non può superare il vedere la faccia; Vedere la faccia non può superare di udirne il nome. Egli si è potuto salvare il naso, Ma ahimè! lui perse i suoi occhi.

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Caso 29 – “E’ la Vostra Mente che si Muove” del sesto Patriarca

Il vento stava agitando una bandiera del tempio, e due monaci avviarono un argomento. Uno diceva che la bandiera si muoveva, l’altro diceva che era il vento che si muoveva; Essi andarono avanti un bel pezzo a disputare ma non potevano giungere ad un’unica conclusione.

Allora il sesto Patriarca disse, “Non è il vento che si muove, non è la bandiera che si muove; è la vostra mente che si muove”. I due monaci furono colpiti da timore riverenziale e tacquero.

Il Commento di Mumon – Non è il vento che si muove; non è la bandiera che si muove; non è la mente che si muove. Come vedete voi il patriarca? Se arrivate a capire profondamente questa questione, potrete vedere che i due monaci cercando di comprare ferro, trovarono oro.

Il patriarca non poteva negare la sua compassione e corteggiare il disonore.

La Strofa di Mumon – Il vento, la bandiera, la mente, il muoversi; E’ tutto ugualmente da biasimare. Sapendo solamente come aprire la bocca, Sarete inconsapevoli della sua colpa nel parlare.

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Caso 30 – “Questa Stessa Mente È il Buddha” di Baso

Daibai chiese a Baso, “Che cos’è il Buddha?”

Baso rispose, “Questa stessa mente è il Buddha.”

Il Commento di Mumon – Se avete afferrato direttamente ciò che Baso intendeva dire, voi portate i vestiti del Buddha, mangiate il cibo del Buddha, parlate le parole del Buddha, fate le azioni stesse del Buddha, voi stessi siete un Buddha.

Tuttavia, ahimè! Daibai fece fuorviare non poche persone che presero il marchio sulla bilancia per il peso stesso. Come poteva egli comprendere che perfino il menzionare la parola “Buddha” dovrebbe farci sciacquare le nostre bocche per almeno tre giorni? Se un uomo di comprensione sente qualcuno dire “Questa stessa mente è il Buddha”, egli si turerà le orecchie e scapperà via.

La Strofa di Mumon – Il cielo blu ed il giorno luminoso, Non cercateli più all’intorno! “Che cos’è il Buddha?” vi chiedete: Col bottino in tasca, vi dichiarate innocenti.

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Caso 31 – Jõshû Investiga su una Vecchia Donna

Un monaco chiese ad una vecchia donna, “Qual è la Via per Taisan?”

La vecchia donna disse, “Proegui diritto”.

Quando il monaco era andato avanti alcuni passi, lei disse, “Un bravo e rispettabile monaco, ma anche lui va avanti così”.

In seguito, qualcuno parlò a Jõshû circa questo fatto.

Jõshû disse, “Aspettiamo un po’, poi andrò io ad investigare su quella vecchia donna per voi.”

Il giorno dopo, lui andò e fece la stessa domanda, e la vecchia donna diede la stessa risposta.

Al ritorno, Jõshû disse ai suoi discepoli, “Io ho investigato per voi la vecchia donna di Taisan.”

Il Commento di Mumon – La vecchia donna sapeva soltanto come sedere ancora nella sua tenda di campagna; lei non sapeva di esser stata adombrata come una spia. Sebbene il vecchio Jõshû si mostrava abba-stanza intelligente per prendere un campo e sommergere una fortezza, egli non dimostrò nessuna traccia di essere un grande comandante. Se guardiamo ad essi, entrambi hanno le loro colpe. Ma ditemi, cosa vide Jõshû nella vecchia donna?

La Strofa di Mumon – La domanda era come le altre, e la risposta fu la stessa. Sabbia nel riso, spine nel fango.

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Caso 32 – Un Filosofo Non-Buddista Interroga il Buddha

Un filosofo non-Buddista disse al Buddha, “Io non chiedo parole; Io non chiedo non-parole”.

Il Buddha si sedette soltanto, e il filosofo disse con ammirazione, “O Onorato dal Mondo, con la tua grande misericordia hai eliminato le nubi della mia illusione e mi hai reso abile per entrare nella Via”. E dopo aver fatto gli inchini, egli prese congedo.

Allora Ananda chiese al Buddha, “Cosa ha realizzato, per ammirarti così tanto?”

L’Onorato dal Mondo rispose, “Un cavallo eccellente corre anche all’ombra della frusta”.

Il Commento di Mumon – Ananda era il discepolo del Buddha, ma la sua comprensione non era simile a quella del devoto non-Buddista. Vorrei chiedervi, che differenza c’è tra il discepolo del Buddha e il filosofo non-Buddista?

La Strofa di Mumon – Sul filo della lama di una spada, Sulla cresta ghiacciata di un iceberg, Senza far i passi, e senza appigli, Ma scalando le rupi senza mani.

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Caso 33 – “Nessuna Mente, Nessun Buddha” di Baso

Un monaco chiese a Baso, “Cos’ è il Buddha?”

Baso rispose, “Nessuna mente, nessun Buddha!”

Il Commento di Mumon – Se voi capite questo, avete finito di studiare lo Zen.

La Strofa di Mumon – Mostrate una spada se incontrate uno spadaccino; Non offrite un poema finchè non incontrate un poeta. Quando state parlando, dite solo un terzo di quello; Non divulgate subito l’intero argomento.

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Caso 34 – “La Ragione Non È la Via” di Nansen

Nansen disse, “La mente non è il Buddha, la ragione non è la Via.”

Il Commento di Mumon – Nansen, diventato vecchio, non aveva vergogna. Solo aprendo la sua bocca maleodorante, lui fece scivolar via il segreto della famiglia. Però, assai pochi gli sono stati davvero grati per la sua gentilezza.

La Strofa di Mumon – Il cielo si schiarisce, il sole risplende brillante, Viene la pioggia, e la terra diventa bagnata. Lui apre il suo cuore ed espone l’intero segreto, Ma io temo che sia stato ben poco apprezzato.

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Caso 35 – “L’Anima Separata” di Seijõ

Goso disse ai suoi monaci, “L’anima di Seijõ si separò dal suo essere. Quale era il vero Seijõ?”

Il Commento di Mumon – Quando avrete realizzato ciò che è reale, potrete capire che noi passiamo da un involucro ad un altro, come viaggiatori che si fermano per una sola notte in un motel. Ma se voi ancora non l’avete realizzato, io sinceramente non vi consiglio di accostarvici in modo frettoloso e selvaggio.

Quando terra, acqua, fuoco, ed aria improvvisamente si separano, voi sarete come un granchio che si dibatte nell’acqua bollente con le sue sette od otto chele. Quando ciò accadrà, non dite che io non vi ho avvertiti!

La Strofa di Mumon – La luna aldisopra delle nubi è sempre la stessa; Valli e montagne sono separate l’una dall’altra. Tutti sono benedetti, tutti sono benedetti; Ma essi sono solo uno o invece sono due?

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Caso 36 – Quando Si Incontra un Uomo della Via

Goso disse, “Quando sul percorso si incontra un uomo della Via, non lo si incontri con parole o in silenzio. Ma ditemi, come lo si dovrà incontrare?”

Il Commento di Mumon – In un tale caso, se potete ottenere un incontro intimo con lui, esso certamente vi gratificherà. Ma se non potete, dovete essere attenti e guardinghi in ogni modo.

La Strofa di Mumon – Incontrando per strada un uomo della Via, Affrontatelo né con parole né col silenzio. Proprio come un pugno sulla mascella: Comprendetelo, se potete farlo direttamente.

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Caso 37 – “L’Albero di Quercia” di Jõshû

Un monaco chiese a Jõshû, “Qual è il significato della venuta in Cina di Bodhidharma?”

Jõshû disse, “L’albero di quercia nel giardino.”

Il Commento di Mumon – Se intimamente voi capite la risposta di Jõshû, non c’è nessun Shakya di fronte a voi, nessun Maitreya che debba venire.
La Strofa di Mumon – Le parole non possono esprimere le cose; Il mero parlare non converte lo spirito. Ondeggiando qui e là con le parole, si è persi; Bloccati dalle frasi, si è confusi e offuscati.

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Caso 38 – Un Bufalo Passa Davanti alla Finestra

Goso disse, “Un bufalo passa davanti alla finestra. La sua testa, le corna, e le quattro gambe sono passate. Ma perché non passa anche la coda?”

Il Commento di Mumon – Se fate un voltafaccia completo, aprite il vostro occhio, e date una risposta su questo punto, sarete in grado di ripagare i quattro tipi di amore che hanno favorito voi ed aiutato gli esseri senzienti nei tre reami che vi inseguono. Se però non siete in grado di far questo, ritornate a quella coda e riflettete su di essa, e allora per la prima volta forse realizzerete qualcosa.

La Strofa di Mumon – Passando davanti, si precipita in una fossa; Ritornando indietro, il che è peggio, ci si perde. Questa piccola coda, solo una piccola coda, Che razza di strana cosa, essa è!

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Caso 39 – Un Errore nel Parlare

Un monaco disse ad Unmon, “Lo splendore del Buddha silenziosamente illumina l’intero universo. . .”. Ma, prima che egli potesse finire il verso, Unmon disse, “Queste non sono forse le parole di Chõetsu il Genio?”

“Sì, lo sono”, rispose il monaco.

“Tu sei scivolato sul tuo parlare”, disse Unmon.

Successivamente, Shishin Zenji riprese la questione e disse, “Dimmi, a che punto il monaco errò nel suo parlare?”

Il Commento di Mumon – Se voi avete chiaramente capito ciò, e compreso quanto esigente fosse Unmon nel suo metodo, e ciò che fece errare il monaco nel suo parlare, siete qualificati per essere un insegnante del cielo e della terra. Se però non vi è ancora chiaro riguardo questo fatto, voi siete assai lontani dal salvarvi.

La Strofa di Mumon – Una riga cade nelle rapide, l’avido sarà preso. Prima che voii possiate aprire la bocca, la vostra vita è già persa!

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Caso 40 – Rovesciare una Bottiglia d’Acqua

Quando Isan Oshõ stava con Hyakujõ, lui era tenzo [capo-cuoco] del monastero.

Hyakujõ volle scegliere un maestro per Monte Tai-i, così lui chiamò a raccolta tutti i monaci e disse loro che chiunque avesse potuto rispondere alla sua domanda in modo notevole sarebbe stato scelto come maestro. Poi prese una bottiglia d’acqua, la posò in piedi sul pavimento, e disse, “Non si può chiamare questa una bottiglia di acqua. Come la chiamereste?”

Il capo-monaco disse, “Non si può chiamarla un ceppo”.

Hyakujõ chiese ad Isan la sua opinione. Isan rovesciò la bottiglia d’acqua coi suoi piedi e se ne andò. Hyakujõ rise e disse, “Il capo-monaco ha perso”.

Ed Isan fu nominato fondatore del nuovo monastero.

Il Commento di Mumon – Isan mostrò un grande spirito nella sua azione, ma non poté liberarsi dai lacci del grembiule di Hyakujõ. Egli preferì il compito più pesante a quello più facile.

Perché fu così, eh? Egli si tolse la benda dalla testa per sopportare il giogo di ferro.

La Strofa di Mumon – Lanciando in aria cestini di bambù e mestoli, Gli fece fare un glorioso tonfo e spazzò via tutto davanti a lui. La barriera di Hyakujõ non può fermare la sua avanzata; Migliaia di Buddha vennero fuori dalle punte dei suoi piedi.

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Caso 41 – “La pacificazione della Mente” di Bodhidharma

Bodhidharma era seduto di fronte al muro. Il Secondo Patriarca stava in piedi nella neve.

Quest’ultimo si tagliò il braccio e lo presentò a Bodhidharma, e piangendo disse, “La mia mente non è ancora in pace! Io ti imploro, maestro, per favore pacifica la mia mente!”

“Porta la tua mente qui ed io te la pacificherò”, rispose Bodhidharma.

“Io ho cercato la mia mente, ma non riesco a trattenerla”, disse il Secondo Patriarca.

“Vedi, ora la tua mente è pacificata”, disse Bodhidharma.

Il Commento di Mumon – Il vecchio Indù sdentato venne dal mare in modo così importante, facendo migliaia di miglia. E questo fu perchè sollevò le onde dove non c’era vento.

Nei suoi ultimi anni indusse l’illuminazione nel suo discepolo che, per peggiorare le cose, aveva difetti nelle sei radici. Perché, Shasan non conosceva gli ideogrammi.

La Strofa di Mumon – Venendo ad est, puntando direttamente, Vi affido il Dharma, e sorse il problema; Il clamore dei monasteri è tutto a causa vostra.

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Caso 42 – Una Ragazza Esce dal Samadhi

Al tempo dell’Onorato dal Mondo, una volta Manjusri andò all’assemblea degli antichi Buddha, e trovò che ognuno era partito verso il suo luogo di origine.

Solo una ragazza era rimasta, assisa in samadhi meditativo vicino al trono del Buddha.

Manjusri chiese a Buddha Shakyamuni, “Perché la ragazza può stare vicina al trono del Buddha, mentre io non posso?”

Buddha Shakyamuni disse, “Falla uscire dal suo samadhi e chiedilo a Lei.”

Manjusri girò tre volte intorno alla ragazza, schioccò una volta le sue dita, la portò su nel cielo di Brahma, ed esercitò tutti i suoi poteri miracolosi per farla uscire dalla sua meditazione, ma invano.

Allora, l’Onorato dal Mondo disse, “Perfino centomila Manjusri non potrebbero farla risvegliare. Ma sotto terra, passate mille e duecento milioni di terre innumerevoli come le sabbie del Gange, vi è il Bodhisattva Mõmyõ. Egli sarà in grado di farla uscire dal suo samadhi.”

Subito il Bodhisattva Mõmyõ emerse dalla terra e fece un inchino all’Onorato dal Mondo che gli diede il suo imperiale ordine. Il Bodhisattva andò verso la ragazza e schioccò una volta le sue dita. Immediatamente, lei uscì dal suo samadhi.

Il Commento di Mumon – Il buon Vecchio Shakyamuni preparò un piccolo dramma sul palcoscenico ma non riuscì ad illuminare le masse. Quindi, io vorrei chiedervi: Se Manjusri è il Maestro dei Sette Buddha, perché non poteva risvegliare la ragazza dal suo samadhi?

Come fu che Mõmyõ, un Bodhisattva al primo livello dei principianti poté farlo?

Se voi comprendete intimamente questo, potrete godere il grande samadhi di Nagya nell’attività più impegnata della coscienza.

La Strofa di Mumon – Uno ebbe successo, l’altro no; entrambi garantendo libertà di mente. Uno con la maschera da dio, l’altro con la maschera da dèmone; Tuttavia, anche nella sconfitta, un bello spettacolo.

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Caso 43 – Lo ‘Shippei’ di Shuzan

Shuzan Oshõ alzò il suo shippei [bastone di servizio] davanti ai suoi discepoli e disse, “Monaci! Se voi chiamate questo uno shippei, vi opponete alla sua realtà. Se non lo chiamate shippei, voi ignorate il fatto. Ditemi, o monaci, come lo chiamerete?”

Il Commento di Mumon – “Se lo chiamate ‘shippei’, vi opponete alla sua realtà. Se non lo chiamate ‘shippei’, voi ignorate il fatto”. Le parole non sono accettate; e neanche il silenzio è accettato. Ora, rapidamente ditemi, che cosa è?

La Strofa di Mumon – Sollevando lo shippei, egli prende la vita, egli dà la vita. L’opposizione e l’ignoranza si interrelano vicendevolmente. Perfino i Buddha e i patriarchi pregano per le loro vite.

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Caso 44 – Il Bastone di Bashõ

Bashõ Osho disse ai suoi discepoli, “Se voi avete un bastone, vi darò un bastone. Se non avete il bastone, io ve lo toglierò!”.

Il Commento di Mumon – Esso mi aiuta a guadare un fiume quando il ponte è chiuso. Esso mi accompagna al villaggio in una notte senza luna. Se voi lo chiamate un bastone, entrerete di corsa all’inferno rapidi come una freccia.

La Strofa di Mumon – Gli alti e bassi della vita nel mondo Sono tutti nella presa di un bastone. Esso sostiene il cielo e regge la terra. Dappertutto, esso valorizza la dottrina.

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Caso 45 – Il “Chi È?” di Hõen

Hõen di Tõzan disse, “Perfino Shakya e Maitreya sono servitori di un altro. Ora vi chiedo, chi è esso?”

Il Commento di Mumon – Se voi potete realmente vedere questo “altro”, con una perfetta chiarezza, è come incontrare il proprio padre ad un incrocio di strade. Perché dovreste chiedervi se lo riconoscete o no?

La Strofa di Mumon – Non inchinatevi mai ad un altro, Non cavalcate il cavallo di un altro, Non discutete sulle colpe di un altro, Non impicciatevi degli affari di un altro.

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Caso 46 – Andare Oltre la Cima del Palo

Sekisõ Oshõ chiese, “Come potete andar oltre la cima di palo alto cento piedi?”

Un altro antico eminente insegnante disse,”Tu, che siedi sulla cima di un palo alto cento-piedi, anche se sei entrato nella Via, non sei ancora genuino. Vai oltre la cima del palo, e mostrerai il tuo intero corpo in tutte le dieci direzioni.”

Il Commento di Mumon – Se voi proseguite avanti e girate il vostro corpo all’intorno, non esiste luogo in cui voi non siate il maestro. Ma perfino così, ditemi, come potreste andare oltre dalla cima di un palo alto cento piedi? Eh?”

La Strofa di Mumon – Egli oscura il terzo occhio dell’intuizione. E si aggrappa al primo marchio sulla scala. Anche se lui può sacrificare la sua vita, Egli è solamente un cieco che guida altri ciechi.

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Caso 47 – Le Tre Barriere di Tosotsu

Tosotsu Etsu Oshõ stabilì tre barriere per i suoi discepoli:

1. Non lasciare nessuna pietra non-capovolta per esplorare la profondità, semplicemente vedere nella propria vera natura.

Ora, voglio chiedervi, proprio in questo stesso momento dov’è la vostra vera natura?

2. Se realizzerete la vostra vera natura, sarete liberati da nascita e morte.

Ma, ditemi, quando all’ultimo momento la vostra vista vi abbandonerà, come potrete essere liberi da vita e morte?

3. Quando sarete liberati da vita e morte, voi dovreste conoscere la vostra ultima destinazione. Quindi, quando i quattro elementi si separeranno, dove andrete?

Il Commento di Mumon – Se siete in grado di rispondere a queste tre domande, dovunque vi troviate, voi siete il maestro e siete padroni dello Zen, in qualunque circostanza possiate trovarvi. Altrimenti, ascoltate: se ingoiate giù il vostro cibo di fretta, ciò vi riempirà facilmente, ma se lo masticate bene, ciò può sostenervi.

La Strofa di Mumon – I pensieri di questo momento vi fanno superare l’eternità; Il tempo eterno è proprio solo questo momento. Se voi comprendete il pensiero di questo momento, Voi capirete l’uomo che comprende questo momento.

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Caso 48 – L’Unica e Sola Strada di Kempõ

Un monaco chiese a Kempõ Oshõ, “E’ scritto, ‘Bhagavats (Beati) nelle dieci direzioni. Unica Via diretta al Nirvana’. Io però mi chiedo dove può stare la Via!”.

Kempõ alzò il suo bastone, disegnò una linea, e disse, “Eccola, è qui”.

Più tardi il monaco fece la stessa domanda ad Unmon, il quale sollevò il suo ventaglio e disse, “Questo ventaglio può salire su fino al trentatreesimo cielo e colpire il naso della divinità Sakra Devanam Indra. Quando tu colpirai la carpa del mare orientale, la pioggia scenderà a torrenti.”

Il Commento di Mumon – Uno, scendendo sul fondo del mare, alza in alto nubi di polvere; l’altro, sulla cima della più alta montagna, scatena torreggianti onde per lavare il cielo.

Uno, stando immobile, l’altro lasciandosi andare, ciascuno protende la sua mano per sostenere il profondo insegnamento. Essi sono proprio come due cavalieri che partono da opposti punti della corsa e si incontrano a metà strada. Ma sulla terra nessuno può essere totalmente diretto.

Quando esaminati con un vero occhio, nessuno di questi due grandi maestri conosce la strada.

La Strofa di Mumon – Prima che un passo sia preso, la meta è raggiunta; Prima che la lingua si sia mossa, il discorso è finito. Benché ciascuna mossa sia precedente alla successiva, Vi è ancora però, un trascendente segreto.

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Post Scriptum di Mumon

I detti e le azioni del Buddha e dei patriarchi sono stati scritti nella loro forma originale. Nulla di superfluo è stato aggiunto dall’autore, che si è tolto il coperchio dalla testa ed ha esposto i suoi bulbi oculari. E’ richiesta la vostra diretta realizzazione; non si dovrebbe cercarla tramite altri.

Se siete uomini realizzati, voi comprenderete immediatamente il punto alla minima menzione di esso. Per voi, non c’è alcuna Porta da attraversare; non ci sono gradini da salire, per voi.

Passate pure il posto di guardia, allargando le spalle, senza chiedere a permesso al guardiano.

Ricordate il detto di Gensho, “La Non-Porta è la Porta dell’emancipazione; il non-senso è il significato dell’uomo della Via”. E Hakuuin dice, “Ovviamente, voi sapete come parlare di essa, ma perché non potete superare questa specifica semplice cosa?”

Comunque, tutto questo discorso è come farcire una torta di fango con latte e burro.

Se avete superato il Mumonkan, potete prendervi gioco di Mumon. Se no, state prendendo in giro voi stessi. Conoscere la mente del Nirvana è facile, ma la saggezza della differenziazione è difficile da ottenere. Quando avrete compreso questa saggezza, la pace e l’ordine regneranno nella vostra mente e nel vostro ambiente.

Testo di Wu-wen Kuan (Mumonkan)

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Scritto rispettosamente da Mumon Ekai Bhikkhu, ottavo nella successione Yõgi, nel cambio di era Jõtei [1228], cinque giorni prima della fine della sessione estiva.

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Source: English translation by late Zen master Katsuki Sekida (Two Zen Classics 26-137)

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Chan (zen)

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Traduzione Italiana di Aliberth Mengoni (Centro Nirvana –Roma, 2006)

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22 gennaio 2011 Posted by | Aforismi, Arte, Ascoltare, Azioni, Guardare, pensieri, Vuoto | , , , , | Lascia un commento

Introduzione al Taoismo

Il Taoismo (o Daoismo, come vorrebbero fosse scritto dai sinologi contemporanei) è un sostrato culturale che si incastona come una gemma unica e preziosa lungo tutto l’arco della storia della Cina, compresa quella precedente al c.d. periodo delle ‘cento scuole’, in quanto si sviluppa nella pratica  quotidiana di personaggi del calibro di Lao Zi e di Zhuang Zi ma dalla assunzione di antiche conoscenze.

Come lo stesso prof. Pasqualotto afferma nell’articolo posto in evidenza qui sotto, il Taoismo sarebbe il Dào Jiā cinese che sarebbe una speculazione simbolico-concettuale che si amalgama e continua nella pratica religiosa (il Dào Jiào), anche perchè letteralmente verrebbe tradotto in ‘Sapienza del Dao’.

Tempio di WuDang Shan

Quindi abbiamo il Dào Jiā e il Dào Jiào che si sosterrebbero a vicenda in quanto il primo è il sostrato culturale del secondo, ma è anche vero che questa distinzione è molto meno netta di come appare in quanto è più che altro frutto di una necessità antropologica (o se vogliamo di un vizio antropologico) della cultura euro-occidentale che tende a distinguere le cose portandole all’estremo, come anche alle estreme conseguenze interpretative, assolutizzanti e dogmatiche.

Così possiamo dire che abbiamo a che fare con una pratica di vita quotidiana che si esprime in una gamma di casistiche applicative che vanno dall’ascetismo puro del santo ritirato in montagna fino alla vita sociale dell’uomo comune inserito nelle comunità locali.

Infatti oggi queste due tendenze massime si esprimono nella pratica personale dell’antica arte del Qi Gong in un ritiro spirituale di lunga durata, nella pratica del monachesimo del Wǔdāng Shān, nella pratica del sacerdozio monacale del Quan Zhen e nella pratica dell’ortodossia dei preti appartenenti allo Zheng Yi.

Tornando alla comprensione della complessità di tale impostazione sapienzale, possiamo analizzare nel dettaglio la configurazione di quelle due composizioni ideografiche sopra citate.

Abbiamo quindi una interrelazione fra l’espressione Dào Jiā e l’espressione Dào Jiào.

Dao Character

Sia la prima che la seconda si compone del carattere Dào (道), che significa strada, via; ma anche specificando una via fluviale, un sentiero terrestre o addirittura celeste; come anche significa corso (di un fiume, ecc.), canale; ma allo stesso tempo anche modo, metodo; e quindi anche morale, moralità; ma anche dottrina, principio; come ancora può stare a significare lo stesso Taoismo; o ancora una setta dottrinale; come anche concezioni semplici come il verbo dire, parlare; od anche credere, e quindi supporre.

Fra l’altro sulla concezione di Dào ci sono moltissime altre interpretazioni sinologiche che si possono trovare nel Tao Te Ching di Lao Tsu edizioni URRA, curato in una visione comparativa e complessa dal dottor Shantena Augusto Sabbadini che ha lavorato come fisico teorico all’Università di Milano e all’Università di California, dove ha contribuito alla prima identificazione di un buco nero, un esperto che negli anni ’90 insieme al sinologo Rudolf Ritsema ha messo a punto un’innovativa traduzione dell’I Ching.

Ma il suono fonetico di Dào si traduce anche nel carattere di Dào (到) che invece significa, in prima declinazione, arrivare, raggiungere; in seconda verso, in direzione di; in terza riuscire in un intento; e infine in quarta declinazione considerato, attento.

Abbiamo ancora da definire sia l’espressione Jiā che l’espressione Jiào.

Il carattere di Jiā (家) da solo significa famiglia, come casa, od anche come persona o famiglia che esercita una certa attività, oppure come esperto in un certo campo, se non proprio come scuola.

Come abbiamo detto prima il Taoismo, quando si è strutturato come dottrina, si trovava contestualmente nella Cina del lungo periodo delle ‘cento scuole’ e proprio per tale ragione Jiā ha più che altro il significato di scuola, anche se le altre significazioni non sono improprie ma convergenti nella stessa significazione.

L’altro carattere, invece, è Jiào (教) che in trascrizione Pinyin lo si può leggere anche con il suono di jiāo, ovvero un accento più morbido e prolungato.

Comunque sia, nella prima forma di pronuncia significa corso di studio, come anche religione e nella forma di verbo si può tradurre in far fare, oppure lasciar fare, od anche permettere (una realizzazione).

Invece, nella seconda forma di pronuncia significa istruire, oppure erudire, e quindi elevare lo spirito, se non proprio significa insegnare, ovvero segnare dentro, dare alla luce.

Compresa tale complessità di significazione possiamo comprendere quanto  le stesse significazioni del prof. Pasqualotto apportate nell’articolo qui di seguito riportato siano, seppur innovative, ancora limitanti e limitate ad una staticità concettuale che protende alla creazione di caterigorie assolute, che è uno dei soliti vizi dell’approccio conoscitivo eurocentrico.

Infatti nell’articolo, viene utilizzata la parola ‘filosofia, che lo stesso autore utilizza in modo critico in quanto è una tipica categoria dogmatica di origine ellenica che in particolare è composta da philéin (φιλεῖν) e sophìa (σοφία) che etimologicamente significano amore per il sapere, o più in generale amore per il pensiero, che dal punto di vista psicologico e cognitivo l’amore per il pensiero si manifesta come attaccamento al pensiero, come attaccamento ad una reificazione dell’astrazione non concreta, non pratica, che in termini psicopatologici possono diventare forme di idiosincrasia schizofrenica.

E quindi è implicitamente proteso a diffondere una struttura mentale improntata all’attaccamento che in psicanalisi è una delle cause che impediscono la conduzione di una vita normale.

Tai Ji Quan

Quindi in termini soggettivi stiamo parlando di un doppio legame, un doppio vincolo di Batesoniana memoria dove l’astrazione (la madre) si può insinuare in una contraddizione con la realtà (il figlio) generando forme di schizofrenia più o meno pesanti, più o meno evidenti, che in termini collettivi di aggregazione sociale diventa una forma di alienazione sociale in relazione alla realtà pratica del quotidiano, ovvero di estraneamento dalla realtà secondo deformazioni cognitive.

Considerando tale dimensione in termini antropologici, relativi ad una cultura che proviene dalla valle del Tigri e dell’Eufrate passando per gli arcipelaghi ellenici fino all’attuale configurazione mondiale del post-coloniasmo nella struttura della globalizzazione economica e culturale, possiamo vedere come tale dimensione la si possa riscontrare anche nel nostro quotidiano.

Quindi, se filosofia è un termine che può indicare una forma di attaccamento e di estraniazione dalla realtà ciò non vale affatto per  il Taoismo e la saggezza orientale in genere (ad es. il buddhismo, il confucianesimo).

Infatti per tale ragione penso che forse il termine italiano, ed in genere occidentale, più adatto all’impostazione conoscitiva del Taoismo sia sapienza, in quanto più vicino alla conoscenza pratica e diretta dell’esperienza dei contadini e degli agricoltori che non alle speculazioni filosofiche e astratte di tipo occidentale.

Ma al di là di ogni speculazione anti-speculativa, quale potrebbe essere paradossalmente proprio questo scritto, è importante tener presente che anzichè teorie razionalistiche, come direbbe Aldo Tagliaferri, il taoismo esprime una forma di empirismo radicale, dove l’esperienza pratica e diretta è la guida di tutto il vissuto.

Detto questo vi lascio all’interessantissimo scritto sotto riportato, che davvero è di vivo interesse.

Buona lettura!

Vincenzo Di Maio

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Tratto da SHIATSU IN RETE
(articolo del prof. Giangiorgio Pasqualotto, tratto dalla rivista Shiatsu Do n°35 dicembre 2005)


Ci sono alcune cose semplici da dire sulle terminologie. Taoismo, come Buddhismo e Induismo, sono parole inventate dagli europei, ma in realtà la parola esatta per dire taoismo in cinese è Dào Jiā, che [si tradurrebbe in] taoismo filosofico, perché in realtà bisognerebbe distinguere il taoismo filosofico dal taoismo religioso.

Dào Jiā significherebbe letteralmente sapere del Dao, o sapienza del Dao o, se vogliamo, con una parola totalmente occidentale di origine greca filosofia del Dao. Anche qui, per abituarsi alla pronuncia esatta, Dao e non Tao, anche se fino a pochi anni fa la traslitterazione in tutte le traduzioni europee si trovava Tao. Anche il testo TaoTeChing si dovrebbe dire DaoDeJing.

Il Dào Jiā, filosofia, sapienza, via filosofica del Dao, si distingue dal Dào Jiào, o taoismo religioso. Anche questa è una distinzione che abbiamo fatto noi europei, poiché in cinese questa suddivisione è molto meno netta e non viene quasi mai usata. Su cosa si basa questa distinzione? Il Dào Jiā, o taoismo filosofico, fa riferimento a 3 testi che sono: il Daodejing, il Zhuang zi e il Liehzi.

Zhuang zi significa letteralmente maestro Zhuang zi, però in cinese una parola che indica il maestro può anche indicare l’opera di quel maestro, e quindi Zhuang zi è sia il maestro sia gli scritti di quel maestro. Liehzi è il nome di questo grande maestro, ma è anche la raccolta dei detti del maestro Liehzi.

Questi sono i 3 testi fondamentali del taoismo filosofico. Occuparsi invece del taoismo religioso (Dào Jiào) sarebbe un’impresa sterminata, dato che il canone del taoismo religioso è di 14.000 volumi. In realtà questo enorme canone taoista raccoglie testi che sono di tutto lo scibile, e non solo di religione, ma di medicina, botanica, zoologia, cosmologia, geologia, mineralogia, farmacologia etc. ed è il sapere universale della Cina classica. Quindi all’interno potremo trovare dei trattati che parlano di come si preparano i farmaci in base alle erbe e in base ai metalli, come vi troviamo la terapia da fare con questi farmaci etc.

Il più grande esperto europeo è K. Schipper che ha pubblicato molto tempo fa in Francia un libro che è stato tradotto in italiano e che si intitola “Il corpo taoista”, opera a cui faremo riferimento perché è un testo fondamentale per capire il concetto di corpo taoista, che non è il semplice corpo fisico, individuale di uomini e non e nemmeno il corpo generale del genere animale ma è il corpo cosmico, cioè il corpo dell’universo, ovviamente con all’interno delle differenziazioni, tanto è vero che il sottotitolo di questo famoso libro è “Corpo taoista: corpo fisico, corpo cosmico”. Vedremo che differenza c’è tra il corpo fisico degli individui e il corpo cosmico.

La più grande esperta mondiale del taoismo religioso, è stata A. Seidel, tedesca, che ha scritto un piccolo libro ma importantissimo “Il taoismo come religione non ufficiale della Cina” (ed. Cafoscarina – Venezia). Contrariamente a quanto siamo stati abituati a pensare per moltissimi anni, A. Seidel dice che la vera religione di fondo, lo sfondo religioso cinese, dalle origini ad oggi compreso il maoismo, lo sfondo più importante della Cina è il taoismo e non il confucianesimo.

Questo lo dimostra con documenti alla mano, ma si può capire questa centralità del taoismo leggendo anche altre opere di uno dei più grandi sinologi, il francese F. Jiullien il quale ha dimostrato, o meglio ha tentato di dimostrare, che in realtà lo sviluppo teorico del confucianesimo ha dentro di sé moltissimi elementi taoisti che i confuciani hanno preso, assorbito, rielaborato ma che non sono propri del confucianesimo.

Quindi, il confucianesimo, è vero che è stato determinante, ma lo è stato grazie a ciò che ha assorbito dal taoismo. Perciò se si vuole verificare l’importanza del taoismo alla base di tutta la sua concezione del mondo, ma soprattutto della religione cinese, vanno tenuti presenti questi due autori.

Ora delimiteremo il campo sui testi taoisti filosofici. Il testo a cui si farà riferimento più frequentemente è appunto il Daodejing. Le due traduzioni, che sono le principali e attuali traduzioni di cui disponiamo in italiano: una è quella del 1977, curata da Fausto Tomassini e pubblicata dalla Utet, e l’altra che è più problematica è edita dalla Adelphi.

In realtà sono tutte e due carenti e attendiamo da anni una nuova traduzione in italiano, importantissima, perché non è tratta da altre traduzioni come quella della Adelphi, ed è fatta da un grande sinologo che è Attilio Andreini dell’università di Venezia, e l’edizione dovrebbe essere della Einaudi di Torino. Non avendo attualmente Andreini, utilizzeremo il Tomassini, il cui grande vantaggio è di riunire in un volume le traduzioni di tutti e 3 i testi: il Daodejing, il Zhuang zi e il Liezhi.

Volendo fare una precisazione di carattere terminologico su che cosa è il Dao, come si traduce e se si può tradurre, potremmo dire che molte persone che si sono occupate di taoismo ci hanno perso il sonno.

Nel carattere Dao, via, che è il Do in giapponese, vediamo che c’è il radicale di piede e poi quello di testa. Quindi il Dao viene tradotto come via, cammino ed è la traduzione ufficiale che noi di solito troviamo. Per cui Daodejing vuol dire il libro della via e della virtù (de).

Un problema interessante, che ci spiega subito la differenza tra un’impostazione occidentale e l’impostazione cinese è che via, cammino, pensiamo alla strada, o ad un sentiero, quindi qualcosa di fisico, ed anche in cinese c’è questo significato, ma ciò che è fondamentale e che viene da noi occultato è che la mentalità cinese è una mentalità attiva, pratica, non teoretica e non astratta, per cui non vede mai le cose autonomamente in sé e per sé come stati di cose, ma come processi.

Quindi via o cammino è da intendersi certamente come strada su cui si cammina, ma è da intendersi come movimento dell’andare, cioè come cammino.

(segue una conferenza del Dott. Marcello Ghilardi, da Shiatsu Do n°35 dicembre 2005)

Letteralmente Dao in cinese significa strada in senso fisico. Quasi tutte le parole cinesi e giapponesi hanno, in origine, un significato molto concreto e materiale. Però Dao ha anche un significato verbale, e significa il camminare, il percorrere, l’avanzare.

Con il susseguirsi degli strati di significato, spesso alcune parole iniziano ad avere anche un significato traslato, metaforico. Quindi Dao, da strada, sentiero, diventa Via, nel senso di disciplina. Il Dao è il processo, la Via naturale, la Via della spontaneità.

E’ il movimento processuale, dinamico, seguito da tutte le cose che sono nella Natura. E’ il grande termine di riferimento dello Yin/Yang, della cooperazione degli opposti. Questi monaci cercano nella loro indagine, nella loro ricerca e nel loro studio di cogliere l’essenza del Dao e hanno dei problemi, perché il Dao sfugge ad ogni definizione, è al di là di ogni determinazione. Tant’è che il I° cap. del Daodejing recita: “Il Dao di cui si può parlare non è il vero Dao” perché il Dao è al di là dei nomi. La Via di cui si può parlare è una Via fasulla, costruita; è qualcosa che, in realtà, non è l’essenza della Via.

Notiamo subito la sfiducia nei confronti del linguaggio e della ragione nel poter cogliere l’essenziale. Per poter cogliere il Dao non si può e non si deve parlare.

Un monaco viaggia alla ricerca di un maestro. Il nome di questo monaco, tradotto in italiano, è Intelligenza. “Intelligenza scalò il monte dell’indistinzione e incontrò Enunciato Del Non Agire (il nome di un altro monaco). Intelligenza gli fece delle domande: per conoscere il Dao che cosa si pensa e su cosa si riflette? Per restare nel Dao quale posizione si adotta? E a che cosa ci si applica? Per possedere il Dao da dove si parte? E quale strada si segue?

Enunciato Del Non Agire non dette nessuna risposta a queste domande. Non che non volesse, ma non sapeva che cosa rispondere”. Non avendo ottenuto nessuna risposta, Intelligenza tornò da dove veniva. Prese la direzione dell’acqua bianca (verso sud) e si arrampicò sulla collina del vuoto del dubbio e vide Il Pazzo Che Non Sa Rispondere (un altro monaco taoista), famoso proprio perché non ha nulla da dire (è notevole la figura di saggi molto lontani dalle nostre figure tradizionali dei maestri orientali che hanno sempre una risposta e sanno sempre che cosa dire).

Gli fece le stesse domande. Ah, io lo so – disse Il Pazzo Che Non Sapeva Rispondere – e adesso te lo dico. Ma benché volesse parlare, dimenticò quello che voleva dire. Non avendo ottenuto alcuna risposta, Intelligenza tornò al palazzo del sovrano.

Qui Intelligenza fece le sue 3 domande al Sovrano Giallo. Questi gli disse: per conoscere il Dao non si deve né pensare né riflettere. Per restare nel Dao non si deve adottare nessuna posizione né applicarsi a nulla. Per possedere il Dao non si deve partire da nessuna parte né seguire alcuna strada. Intelligenza chiese allora al Sovrano Giallo: noi due lo sappiamo adesso, ma gli altri due non lo sanno. Chi ha ragione? Disse il Sovrano Giallo: Enunciato Del Non Agire è nel vero. Il Pazzo Che Non Sa Rispondere pure sembra essere nel vero. Ma voi ed io non ci avvicineremo mai alla verità. Infatti colui che sa non parla, colui che pala non sa.

Il monaco Intelligenza fa delle domande ad un altro monaco circa la natura del Dao e questo monaco non sa rispondere. La cosa curiosa è non che non volesse, ma non sapeva cosa rispondere. Spesso noi siamo abituati alla figura del maestro orientale che non risponde perché sa già che la risposta data col linguaggio delle parole è una risposta parziale. Qui invece viene detto che non sa cosa rispondere. Non è che non voglia, non è che abbia in testa un piano per far capire che c’è qualcos’altro, ma proprio non sa che dire.

Cosa significa allora, che veramente gli idioti sono i più sapienti? Forse si, o forse significa: attenzione! Un conto è studiare, un conto è approfondire qualcosa, anche intellettualmente. L’uomo è un animale che ha la ragione discorsiva tra le sue caratteristiche naturali. Quindi anche la ragione, in quanto caratteristica naturale ed umana, va coltivata.

Dire che colui che sa non parla non significa che, allora, bisogna rinunciare a qualsiasi indagine, ma significa che bisogna saperla contestualizzare, relativizzare, e bisogna saper conferire il giusto peso alle cose. Significa che non bisogna sopravvalutare le potenzialità del linguaggio. Significa che spesso è la pratica, è l’esperienza che ci dice più cose di quante ce ne dicano le parole.

Per questo il saggio si serve di un insegnamento senza parole. Il Dao non lo si può ottenere, la Virtù non la si può raggiungere. Per questo è detto: dopo che si è perduto il Dao, viene la Virtù. Dopo che si è perduta la Virtù, viene l’amore per gli uomini. Dopo che si è perduto l’amore per gli uomini, viene la giustizia. Dopo che si è perduta la giustizia, viene il rito. E’ una sorta di gerarchizzazione, di scala decrescente di valori: dal Dao alla Virtù, all’amore per gli uomini, alla giustizia, al rito.

Dietro questa scala decrescente c’è una critica nemmeno tanto velata, per i cinesi del tempo, all’etica confuciana, che metteva invece al primo posto i riti, l’amore per gli uomini (la principale virtù confuciana) e che considerava la dimensione umana pienamente raggiunta e raggiungibile attraverso uno sforzo e una accumulazione di cultura.

La ritualità era uno degli strumenti principali che l’uomo poteva utilizzare per poter veramente diventare uomo. Per la tradizione confuciana solo attraverso il rito l’essere umano riesce ad elevarsi al di sopra della sua animalità.

Quello che sembra qui è una polemica tra scuole diverse e rivali. La taoista considera il ritorno al Dao come un distacco alla dimensione culturale e sociale. Il ritorno all’origine è uno dei temi principali della concezione taoista. Bisogna staccarsi dalla cultura come incrostazione sociale, come dimensione troppo irreggimentata per riguadagnare il rapporto con la spontaneità della natura, quindi con il Dao.

I confuciani compiono un percorso che pare diametralmente opposto. Bisogna acculturarsi, studiare i testi antichi. Bisogna strutturare la società tramite rituali per poter seguire il corso della natura umana. Al di là di questa visione diametralmente opposta c’è però una base comune tra taoismo e confucianesimo.

E’ come se si seguissero due metodi diversi per tendere ad una stessa meta. E’ come se, volendo scalare una montagna, si seguissero due percorsi diversi, dal versante sud e dal versante nord, per raggiungere però la stessa vetta.

L’idea di purificazione dalla cultura e dal rito dei taoisti e l’idea confuciana di un assecondamento, di una strutturazione e di una costruzione attraverso il rito alla fine convergono.

17 gennaio 2011 Posted by | Ascoltare, pensieri, Scienza, Vuoto | , , , | Lascia un commento

WUSHIDAO & BUSHIDO: la Via del Guerriero

La Via del guerriero è lo stile di vita dell’uomo pienamente determinato verso uno scopo oppure semplicemente nel dare continuo lustro ai principi etici a cui fa riferimento, che nella cultura samuraica giapponese è in particolare rappresentato dalla lealtà della classe dei Samurai verso il paese, verso lo Shōgun e verso il Tennō.

Questo stile di vita in Occidente viene usulamente chiamato Bushidō.

Sun Jian - La Tigre di Jangdong (Cina)

Samurai - Storia 47 Ronin (Giappone)

Ma la via del guerriero giapponese, in realtà prende spunto dallo stesso sostrato culturale del Wude, dall’etica del guerriero cinese che nella pratica quotidiana prende il nome di Wǔshidao, che altro non è se non la parola originaria da cui deriva quella giapponese e più famosa di Bushidō.

Wushidao e Bushidō rappresentano quindi la stessa cosa, anche perchè la loro traduzione in italiano significa letteralmente disciplina marziale/etica militare (Wu e Bu) ed il concetto di essere (Shì e Shi), che insieme significano guerriero combattente (Wushì e Bushi), che aggiunte alla complessa significazione di via/condotta/sentiero (Dao e Dō), vanno a tradursi in italiano con ‘la Via del Guerriero’.

L’etica di base è molto simile, in quanto fanno riferimento alle antiche radici culturali siniche, ma mentre in Cina si esprime in particolare nella pratica del Wude, in Giappone si esprime particolarmente nel Budō.

Queste apparenti differenze nascono da una distinzione confuciana fondamentale dove la cultura cinese predilige il Wen 文 (la letteratura, la sapienza, le arti, la cultura), mentre la cultura giapponese predilige il Wu 武(l’autodisciplina, la marzialità, l’austerità, il vuoto). [Nella trascrizione giapponese il Wu cinese viene tradotto con Bu. NdA]

Questa è soltanto una visione di insieme che, con molta superficialità, cavalca secoli di complesse relazioni fra Cina e Giappone nonché di Storia e Civiltà dell’Estremo-Oriente su cui ci sarebbe molto ancora da dire, in quanto tra queste due culture ancora moltissime sarebbero le differenze antropologiche.

Qui sotto vi lascio uno scritto ‘anonimo giapponese’ risalente al 1300 ca. usualmente denominato Il Credo del Samurai.

Buona lettura.

Vincenzo Di Maio

Non ho genitori, il Cielo e la Terra sono i miei genitori.
Non ho dimora, il DanTian e’ la mia dimora.
Non ho potere divino, la lealtà è il mio potere divino.
Non ho mezzi, la disciplina è il mio mezzo.
Non ho poteri magici, la forza interiore sono i miei poteri magici.
Non ho vita e non ho morte, l’eternità del respiro è la mia vita e la mia morte.
Non ho corpo, la forza è il mio corpo.
Non ho occhi, il bagliore del fulmine sono i miei occhi.
Non ho orecchie, la sensibilità sono le mie orecchie.
Non ho membra, la velocità sono le mie membra.
Non ho miracoli, l’esistere è il mio miracolo.
Non ho talento, la prontezza della mente è il mio talento.
Non ho principi, l’adattamento è il mio principio.
Non ho leggi, la mia difesa è la mia legge.
Non ho strategia, costruire e distruggere è la mia strategia.
Non ho tattiche, il vuoto e il pieno è la mia tattica.
Non ho disegni, l’opportunità è il mio disegno.
Non ho castello, la fermezza della mente è il mio castello.
Non ho corazza, la buona volontà è la mia armatura.
Non ho amici, la purezza della mente è il mio amico.
Non ho nemici, l’imprudenza è il mio nemico.
Non ho spada, il vuoto della mente è la mia spada.


Spada - Katana dei Samurai (Giappone)

Spada - Wootz dei guerrieri Shaolin (Cina)

 

13 gennaio 2011 Posted by | Aforismi, Arte, Ascoltare, pensieri, Vuoto | , , , , | Lascia un commento

Tre tesori della tradizione buddhista

1. *credo nel Buddha  KIE BU KYO (la nostra natura interiore, credo in me stesso)
2. *credo nel Dharma  KIE HO KYO (gli insegnamenti, credo in ciò che studio o credo in ciò che faccio)
3. *credo nel Sangha  KIE SO KYO (la comunità, credo nelle persone che ho attorno, i miei insegnanti)

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TRIRATNA
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Con il termine sanscrito Triratna (Tre Gioielli; pāli tiratana; thai ไตรรัตน์ trairat; singalese තෙරුවන් teruwan; cinese 三寶 sānbăo; giapponese sanbō; vietnamita tam bảo; coreano 삼보 sambo; mongolo ɣurban erdeni; tibetano dkon mchog gsum) nel Buddhismo si intendono il Buddha, il Dharma e il Saṃgha, talora indicati anche come Triplice Gemma o Triplice Rifugio o Tre Tesori.

Prendere rifugio

La formula con cui si prende rifugio nei Tre Gioielli viene recitata in gruppo in tutte le feste e cerimonie buddhiste, e la sua triplice recitazione individuale, usualmente davanti alla comunità e a dei monaci, viene considerata la formale entrata del recitante nella comunità dei laici e delle laiche buddhiste, upāsaka e upāsikā.
In Pāli questa recitazione cantata, nota come Vandana Tisarana viene così scandita:

* Buddham saranam gacchāmi – Prendo rifugio nel Buddha.

* Dhammam saranam gacchāmi – Prendo rifugio nel Dharma.

* Sangham saranam gacchāmi – Prendo rifugio nel Sangha

Alla prima recitazione segue una seconda in cui si antepone a ciascuna strofa la parola dutiyampi, “per la seconda volta”, e infine una terza in cui si antepone a ciascuna strofa la parola tatiyampi, “per la terza volta”.

In Estremo Oriente, parallelamente alla versione in Pāli, vengono anche utilizzate versioni in lingua locale, basate sul testo in cinese classico:

* 自皈依佛,當願眾生,體解大道,發無上心。
Prendo rifugio nel Buddha, desiderando che tutti gli esseri senzienti comprendano la Grande Via e che vi si dedichino con tutto l’animo.

* 自皈依法,當願眾生,深入經藏,智慧如海。
Prendo rifugio nel Dharma, desiderando che tutti gli esseri senzienti approfondiscano le Scritture buddhiste sì che la loro saggezza sia come il mare.

* 自皈依僧,當願眾生,統理大眾,一切無礙。
Prendo rifugio nel Sangha, desiderando che tutti gli esseri senzienti siano uniti in armonia, completamente e senza ostruzioni.

Prendere rifugio [modifica]

La formula con cui si prende rifugio nei Tre Gioielli viene recitata in gruppo in tutte le feste e cerimonie buddhiste, e la sua triplice recitazione individuale, usualmente davanti alla comunità e a dei monaci, viene considerata la formale entrata del recitante nella comunità dei laici e delle laiche buddhiste, upāsaka e upāsikā.
In Pāli questa recitazione cantata, nota come Vandana Tisarana viene così scandita:

Prendo rifugio nel Buddha.
Prendo rifugio nel Dharma.
Prendo rifugio nel Sangha

Alla prima recitazione segue una seconda in cui si antepone a ciascuna strofa la parola dutiyampi, “per la seconda volta”, e infine una terza in cui si antepone a ciascuna strofa la parola tatiyampi, “per la terza volta”.

In Estremo Oriente, parallelamente alla versione in Pāli, vengono anche utilizzate versioni in lingua locale, basate sul testo in cinese classico:

9 gennaio 2011 Posted by | Vuoto | | Lascia un commento

OM MANI PADME HUM

Oṃ Maṇi Padme Hūṃ

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Oṃ Maṇi Padme Hūṃ (sanscritodevanāgarī ॐ मणि पद्मे हूँ,) è tra i più noti e diffusi dei numerosi mantra facenti parte del patrimonio culturale del Buddhismo Mahāyāna.
Letteralmente può essere tradotto come Salve oh Gioiello nel fiore di Loto.

Traslitterazione del mantra

  • tibetano: ཨོཾ་མ་ཎི་པ་དྨེ་ཧཱུྃ། Om Mani Peme HungOm Mani Beh Meh Hung;
  • bengalese: ওঁ মণিপদ্মে হুঁ;
  • tamil: ஓம் மணி பத்மே ஹூம்;
  • cinese 唵嘛呢叭咪吽, pinyin Ǎn mání bāmī hōng;
  • coreano Hangul 옴 마니 파드메 훔 Om mani padeume hum o 옴 마니 반메 훔 Om mani banme hum;
  • giapponese Katakana オンマニハンドメイウン On mani handomei un;
  • mongoloУм маани бадми хум or Um maani badmi khum;
  • vietnamitaÚm ma ni bát ni hồngÁn ma ni bát mê hồng;
  • thaiโอม มณี ปัทเม หุม.

Significato del mantra dalle sei sillabe

Questo mantra è strettamente relazionato alla figura del bodhisattva della compassione Avalokiteśvara.

Il suo significato è fortemente simbolico al di là della sua traduzione letterale e viene raccomandato in tutte le situazioni di pericolo o di sofferenza, o per aiutare gli altri esseri senzienti in condizioni di sofferenza. Uno dei suoi significati più diffusi è la collocazione del gioiello (simbolo della bodhicitta) nel loto (simbolo della coscienza umana).

Mantra letteralmente significa “protezione della mente” (dal sans. manas mente; traya protezione). Secondo le relative tradizioni buddhiste, i mantra, in realtà, non possiedono di per sé alcuna potenza magica, ma sono unicamente “mezzi abili” (sans. upāya) per accedere ad un differente stato di coscienza.

Oṃ Maṇi Padme Hūṃ è formato da una sequenza di sei sillabe sacre (tib. yig-drug) che vengono pronunciate dal praticante, profondamente concentrato sull’essenza del bodhisattva che sta per invocare. Queste sei sillabe sono accompagnate ad una settima,Hrīḥ, sillaba della compassione. Le sei sillabe sono relazionate con i sei buddha che agiscono nei sei destini (sans. ṣaḍ jagati, tib. ‘gro-ba rigs-drug) e vengono, iconograficamente, dipinte con diversi colori simbolici.

Il loro significato simbolico corrisponde a:

  • Oṃ (bianco) collegato al Buddha Ratnasaṃbhāva, protegge dall’orgoglio quindi dal destino dei deva;
  • Ma (verde) collegato al Buddha Amoghasiddhi, protegge dalla gelosia, quindi dal destino degli asura;
  • Ṇi (giallo) collegato al Buddha Śākyamuni, protegge dall’ignoranza, quindi dal destino degli uomini.
  • Pad (blu) collegato al Buddha Vairocana, protegge dall’ottusità e dall’oscurità mentale, quindi dal destino degli animali;
  • Me (rosso) collegato al Buddha Amitābha, protegge dall’avidità, quindi dal destino dei preta;
  • Hūṃ (nero) collegato al Buddha Akṣobhya, protegge dall’ira e dall’odio, quindi dal destino infernale.

Questo è il mantra di Avalokiteshvara, il mantra più recitato e conosciuto anche dai non buddhisti. Può essere recitato per lunghi periodi di tempo, sgranando il mala, il rosario buddhista, durante la vita comune o la meditazione.
Om Mani Padme Hum viene recitato per ottenere la liberazione, quindi la pace e la libertà dalle sofferenze, e si dice che sia così potente che anche un animale sentendolo otterrà una rinascita umana e quindi la possibilità di conoscere il dharma e raggiungere l’illuminazione. Il mantra non ha un significato letterale come frase compiuta, bensì hanno significato le sei sillabe che lo compongono.

13 novembre 2010 Posted by | Vuoto | | Lascia un commento